«Il modo diverso di concepire il tempo ci divide più di molte altre così». Con queste parole il noto storico e teologo ebreo Ernst Ludwig Ehrlich ha voluto sottolineare la distanza che secondo lui si è instaurata inscindibilmente tra la concezione del tempo nell’ebraismo e quella nel cristianesimo.
Ehrlich si riferisce al cambiamento che il cristianesimo ha introdotto nel calcolo del tempo sulla base della convinzione che la redenzione sia già avvenuta, o almeno iniziata in modo irrevocabile: «Il Regno di Dio è già in mezzo a voi». L’ebraismo, invece, vive ancora nell’attesa, nella protensione verso la pienezza della storia che non si è manifestata ancora.
Ma sono così realmente distanti queste due concezioni del tempo? La fede cristiana si è realmente adagiata e assorbita nello splendore del «già»? – In realtà, se guardiamo il NT o se sentiamo le pulsazioni profonde della teologia e della spiritualità cristiana, notiamo una forte tensione verso il «non ancora». Il «già e non ancora» è un distintivo della tensione cristiana, anzi, della stessa epifania cristica. Il Cristo che è venuto e che è «con noi fino alla fine dei tempi», è ancora atteso, desiderato nella sua seconda venuta nella gloria. E la vita dei cristiani, a sua volta, è tesa tra due realtà che Giovanni mette così: «Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato» (1Gv 3,2).
In realtà, il cristianesimo ha assunto da subito l’articolazione, le forme linguistiche e le figure dell’ebraismo. Che ci sia un’«apocalisse» che chiude le Scritture cristiane è già una prova di tale protensione condivisa. Il libro di Josef Wohlmuth, Mistero della trasformazione. Tentativo di una escatologia tridimensionale, in dialogo con il pensiero ebraico e la filosofia contemporanea, edito dalla Queriniana per la collana «Biblioteca di teologia contemporanea», accoglie proprio questa sfida di mostrare la convergenza tra le due escatologie, quella cristiana e quella ebraica, in dialogo con la filosofia contemporanea.
Hanno qualcosa di speciale quei libri che nascono dall’incontro-scontro di visioni e sistemi diversi. Il libro di Wohlmuth avvicina il tema escatologico in questa sua triplice configurazione offrendo ricchi orizzonti interpretativi. Il dialogo e il confronto serrato che l’autore porta dall’inizio alla fine del libro mostrano che l’attesa escatologica permea anche la filosofia contemporanea (e quindi il sentire comune implicito dell’uomo d’oggi).
«Ormai solo un Dio ci può salvare», così affermava un Heidegger maturo e navigato in un’intervista al settimanale Der Spiegel nel 1966 (l’intervista verrà pubblicata soltanto dopo la morte di Heidegger, nel 1976). Ma già prima, nella conferenza di Marburgo del 1924, il filosofo tedesco afferma in maniera programmatica: «L’esserci, compreso nella sua estremo possibilità d’essere, è il tempo stesso, e non è nel tempo. […]. Il fenomeno fondamentale del tempo è il futuro». Le vere possibilità dell’esserci si misurano con la declinazione al futuro. L’attimo è il «luogo» dell’eternità.
L’opera di Wohlmuth ci offre un assaggio dello sviluppo e della «trasformazione» dell’escatologia avvenuti nel XX secolo. Essa non è più e semplicemente il trattato sui novissimi. È piuttosto una dimensione e una tensione che compenetra tutto il mistero cristiano. Questo risveglio e quest’attenzione verso la dimensione escatologica sono tracciati simpaticamente da von Balthasar così: «Se poteva valere per il liberalismo del diciannovesimo secolo la parola di Troeltsch: “L’ufficio escatologico è quasi sempre chiuso”, questo, dalla svolta del secolo in poi, al contrario fa ore in soprannumero».
Seguendo lo spunto balthasariano, possiamo dire che il libro di Wohlmuth offre una ricca panoramica sugli «straordinari» dell’escatologia. L’autore affronta questioni preliminari in dialogo con la filosofia ebraica contemporanea dell’ospitalità, vaglia la tensione sussistente tra apocalittica ed escatologia, soppesa gli effetti dell’illuminismo e delle due guerre (Auschwitz) sull’escatologia cristiana, soprattutto di un Metz e di un Moltmann. In seguito, Wohlmuth traccia le basi di una escatologia fondamentale vagliando il rapporto tra eternità e tempo. Il cuore del saggio è la tripartita considerazione del linguaggio escatologico (escato-estetica), della logica e della rilevanza veritativa dell’escatologia (escato-logica) e dell’agire morale corrispondente alla fede escatologica (escato-prassi).
Queste parti centrali, come anche la parte finale che tratta di questioni particolari di escatologia si distinguono per il confronto serrato e attento tra i dati della fede – ebraica e cristiana – e tra grandi nomi della filosofia contemporanea come Husserl, Heidegger, Buber, Rosenzweig, Adorno, Levinas, Derrida…
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Il libro è disponibile sul seguente link:
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