I cristiani in Malaysia guardano con interesse a tre questioni che attualmente attraversano la vita politica e sociale, tutte inerenti la libertà religiosa: il cambio di religione dei bambini; l’istruzione islamica nelle scuole private; l’utilizzo del termine “Allah” nelle pubblicazioni cristiane. “Nell’affrontare tali questioni, il nostro riferimento è sempre la Costituzione della Malaysia che garantisce la libertà di religione a tutti i cittadini”, dice all’Agenzia Fides Tan Kong Beng, teologo e docente universitario, Segretario esecutivo della “Christian Federation of Malaysia”, che unisce tutte le confessioni cristiane presenti in Malaysia, paese dove vivono circa 2,8 milioni di fedeli su circa 27 milioni di abitanti.
La questione della conversione religiosa dei minorenni è balzata agli onori della cronaca per il caso di due ragazzi indù, convertitisi all’islam senza il permesso della madre, donna di etnia indiana e con un marito malay musulmano. E’ un passaggio illegale in Malaysia, dato che la legge dispone che la conversione religiosa di un bambino possa avvenire solo con il consenso di entrambi i genitori. In seguito al caso, nel giugno scorso il governo aveva sottoposto un emendamento alla legge esistente, che avrebbe permesso a una persona di età inferiore ai 18 di convertirsi all’islam anche con un solo genitore consenziente. “Il disegno di legge è stato poi ritirato, dato il parere contrario di molti settori della società civile, del Consiglio degli Avvocati, delle comunità religiose non musulmane”, riferisce a Fides Tan Kong Beng, manifestando la soddisfazione per le minoranze religiose. “Tuttavia – aggiunge – in molti stati della Federazione malaysiana, tuttora è prassi che bambini, specie nei matrimoni misti, si convertano all’Islam senza il permesso di entrambi i genitori. Chiediamo al governo di far rispettare le disposizioni vigenti in proposito”.
Un secondo focus dei cristiani è un ordine del Ministero dell’Istruzione che prevede gli studi islamici come “materia obbligatoria” per gli studenti in istituti privati di istruzione superiore. La disposizione, che entra in vigore il 1° settembre 2013, ha trovato l’opposizione della “Malaysian Chinese Association” (MCA), che rappresenta la parte cinese del popolo malaysiano, e di tutte le componenti non islamiche. “Tali studi possono essere previsti come scelta volontaria”, in una società pluralista come quella malaysiana, formata da componenti etniche e religiose distinte, afferma la MCA in un nota inviata a Fides. “Imporre a studenti non musulmani di studiare e sostenere gli esami su una religione-civiltà distinta dalla propria è una pratica ingiusta e contraria all’art 12 della Costituzione”, ribadisce la nota.
Terzo punto, molto importante, riguarda la controversia legata all’uso del temine “Allah” nella Bibbia e nella pubblicazioni cristiane. Parte della comunità musulmana in Malaysia, infatti, rivendica come esclusivo dell’islam l’uso della parola “Allah” per indicare Dio. La controversia è stata oggetto di un ricorso intentato dalla Chiesa cattolica nel 2008 contro una disposizione del governo malaysiano che vietava l’uso di “Allah” ai cristiani. Nel 2009 un tribunale ha dato ragione alla Chiesa cattolica, e il governo ha poi presentato un ricorso all’Alta Corte contro la decisione, in attesa di una mediazione. Nel 2011 il governo ha diramato una dichiarazione in 10 punti, mai applicata, che avrebbe dovuto mettere la parole “fine” alla vicenda. Nei giorni scorsi la Chiesa cattolica ha ripreso in mano il dossier, chiedendo al tribunale di annullare il ricorso del governo. “Usare il nome di ‘Allah’ per chiamare Dio è un nostro diritto che tocca il 60% dei cristiani malaysiani, che praticano il culto in lingua Bahasha Malaysia”, spiega a Fides Tan Kong Beng. “Intendiamo andare fino in fondo in questa vicenda. Se la Corte accoglierà l’ultima richiesta dei cristiani, il governo potrà presentare un ultimo ricorso alla Corte Suprema, quella federale”, informa.
(Fonte: Agenzia Fides 13/7/2013)