“La vicenda del magistrato Pietro D’Amico getta l’ennesima ombra inquietante sulle pratiche eutanasiche condotte da medici che alla cura sostituiscono la morte”, dichiara Paola Ricci Sindoni, Presidente nazionale dell’Associazione Scienza & Vita.
“La depressione, il male di vivere del nostro tempo, non è mai una patologia da sottovalutare. La si combatte anche attraverso una maggiore consapevolezza sociale, che si traduce in attenzione medica, in pratiche qualificate di consulenza, anche con un equilibrato approccio farmacologico, ma mai attraverso l’eliminazione del paziente, ossia con l’eutanasia.
La tragica scelta di uomo che intende porre fine alla sua vita con questo terribile protocollo medico, diventa il simbolo doloroso della solitudine del malato e il segnale della resa della società, incapace di ascoltare, accogliere, includere.
E’ necessario costruire una rete di prevenzione e di assistenza, potenziando gli strumenti a disposizione per aiutare chi soffre di questa patologia a recuperare il bene della salute psichica e quel gusto di vivere che è risorsa personale e sociale. L’eutanasia non è mai la soluzione e questo caso dimostra con chiarezza che, alla fine, è soltanto una sconfitta per tutti”.
D’Amico, a cui era stato diagnosticato un male incurabile, aveva scelto di morire lo scorso aprile con il suicidio assistito in Svizzera. In realtà, il sessantaduenne magistrato non soffriva di alcuna patologia inguaribile, secondo l’esito dell’autopsia eseguita sulla sua salma.