La zia di Lampedusa di Elvira Siringo è un recente romanzo che mette in risalto il dramma dei naufraghi trascurati e dimenticati dal mondo in quella “terra del mezzo” nel “mare in mezzo alle terre”. Il Mediterraneo, culla di arcana civiltà, oggi è teatro di tragedie umane che si consumano spesso lontano dalla ribalta. L’auspicio finale dell’autrice è diventato preghiera con la sorprendente visita di papa Francesco a Lampedusa.
Il Pontefice venuto “dalla fine del mondo” ha fatto di quell’isola delle Pelagie la profezia dell’incontro e non più dello scontro fra due mondi: il Nord e il Sud, l’Europa e l’Africa, distinti ma sfumati l’uno verso l’altro in un abbraccio di pace universale.
E’ la lettura di un quotidiano che alcune settimane prima annunciava l’ennesimo naufragio di immigrati al largo di Lampedusa che ha “informato” l’azione del Papa.
La sfida alla “globalizzazione dell’indifferenza”, più volte citata nell’omelia della S. Messa, è stata la nota di diapason del suo pellegrinaggio a Lampedusa che riposa su tre motivi come le pale di uno stesso trittico temporale.
Il passato:
Con una corona di fiori lanciata in acqua da una delle motovedette della Marina che salvano vite in mare, Papa Francesco ha volutofare memoria degli oltre ventimila immigrati sepolti nel cimitero liquido del Mediterraneo per restituire loro la dignità di una società liquida. Sono “vite a perdere” sulle “barche a perdere” catturate dalle reti di trafficanti di uomini senza fede e senza umanità.
Quelle barche inabissano spesso con esse quei sogni e quelle speranze che aiutano a vivere gli uomini che dal Sahara Occidentale al Corno d’Africa cercano di sfuggire alla loro “dannazione terrestre” .
Il presente:
La voce del Papa, “per incanto e per amore” è stata una provocazione come i versi dell’omonima canzone di Claudio Baglioni, frequentatore di Lampedusa che proprio lì si sentì ispirato a scrivere e cantare, “fa che il prossimo tuo sia non soltanto chi ti è accanto ma anche il prossimo che verrà qui”.
Papa Francesco nella sua sensibilità umana e pastorale ha ricordato gli immigrati, ma anche voluto apprezzare e ringraziare coloro che nel loro piccolo fanno grandi cose. Sono preti e religiose, militari e autorità civili, uomini e donne di buona volontà, animati da fede e carità.
Il futuro:
Il faro e lo scoglio sono le due parole greche che significano Lampe-dusa. I relitti delle barche usati per l’arredo scenografico della piazza che ha accolto il Papa, sembravano quasi un anticipo di Apocalisse. Lo scoglio della roccia di Pietro e il faro della Parola di Dio proclamata da un ambone ricavato da un asse sul quale qualche naufrago avrà forse cercato di aggrapparsi in cerca di salvezza, sono come un salvagente di speranza teologale. Quell’isola è diventata per quello che fa oggi un invito per il domani a ritrovare se stessi e a ritrovare il fratello perduto.
“Adamo, dove sei?”
“Caino, dov’è tuo fratello?”
Sono le prime due domande che Dio rivolge all’uomo.
Queste domande hanno risuonato con forza a Lampedusa, quando Papa Francesco le ha rivolte a ciascuno di noi, a se stesso e a quei potenti della terra le cui decisioni spesso occasionano miserie ed esodi.
A queste due domande Papa Francesco ne ha aggiunto una terza:
“Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle?”
Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e di queste sorelle?
Citando Lope La Vega, Papa Francesco ha risposto: Fuenteovejuna, cioè “tutti e nessuno”.
Papa Francesco ha poi aggiunto: “Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: «Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi…”
Il carattere penitenziale della liturgia con l’impiego del colore viola dei paramenti, ha rappresentato la richiesta di perdono a Dio per i crimini contro l’umanità, per le nuove schiavitù, per i nuovi traffici di esseri umani… per le indifferenze degli uomini sedicenti dabbene.
Mentre il Papa era presente sull’isola, altri immigrati venivano tratti in salvo dal mare e portati a Lampedusa. «Chi ha pianto?» Chi ha pianto oggi nel mondo?”, si è chiesto Papa Francesco nella sua omelia.
Ha continuato con un invito: “Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo”.
La bella preghiera finale del Papa alla Vergine di Porto di Salvo, Patrona di Lampedusa, recitava che l’incontro degli immigrati con i nostri popoli non si trasformi in fonte di altre schiavitù e sofferenze. Papa Francesco con una parola araba ha salutato gli immigrati presenti sull’isola e partecipi dell’Eucarestia.
Il Vescovo di Roma, dalla Chiesa che presiede le altre nella carità ha sorvolato su eventuali critiche e come Cristo nel Vangelo, in virtù della sua unzione, ha teso la mano verso i lontani i diversi dalla nostra fede e dal nostro colore affinché con il nostro calore possano scoprire dalle acque di ogni “Lampedusa”, il faro e la verità solida del Vangelo!