Lumen fidei, la luce della fede: è questo l’incipit della tanto attesa enciclica scritta “a quattro mani” da Benedetto XVI e Papa Francesco, firmata il 29 giugno, nella solennità dei santi Pietro e Paolo.
È un grande segno di comunione, il fatto che Papa Francesco abbia voluto accogliere la riflessione di un’enciclica del Papa emerito e l’abbia promulgata aggiungendo le sue osservazioni. Ciò testimonia la continuità dell’azione di confermare nella fede i fratelli da parte del Successore di Pietro e, allo stesso tempo è un segno concreto di fraternità tra il vescovo di Roma emerito e il Pontefice regnante.
È indubbio che il tema dell’enciclica – la fede – (emanata nell’anno a essa dedicato), sia anche il completamento dell’insegnamento di Benedetto XVI sulle virtù teologali, dopo le sue encicliche sulla carità e sulla speranza.
Questa enciclica è altrettanto importante perché viviamo in un tempo segnato da una crisi antropologica e della fede. Ma quale fede ci propone Papa Bergoglio? La fede nel Dio di Gesù Cristo, colui che è l’esegesi di Dio (cfr. Gv 1,18). Ma la crisi è anche crisi dell’umanità, della fede come atto umano, della fede-fiducia come fondamento necessario per il cammino di conversione e di umanizzazione.
Invero questa prima lettera pastorale di Papa Francesco, è anche la prima enciclica dedicata esclusivamente alla fede dal Concilio Vaticano II. In precedenza solo il Beato Giovanni Paolo II, ha trattato il tema della fede nella Fides et ratio.
Il Vescovo di Roma, offre alla Chiesa e al mondo, un approfondimento sulla fede, ripercorrendo per noi la storia di salvezza: la fede è quella che è apparsa tra gli uomini con Abramo, il padre dei credenti; è stata fede dei figli di Israele, il popolo di Dio; è stata fede compiuta in Gesù Cristo, “origine e compimento” della fede cristiana (cfr. Eb 12,2).
Questa fede, che resta un dono di Dio e nasce sempre dall’ascolto (cfr. Rm 10,17); nell’uomo e nella donna di fede, la ragione umana si declina in modo fecondo con il cuore stesso dell’uomo, ed è questa la vera luce per la conoscenza di Dio e della verità che è Gesù Cristo (cfr. Gv 14,6), per quanto è possibile all’essere umano. Ma la fede vissuta, custodita e annunciata dalla chiesa è anche una fede che riguarda tutta l’umanità, è per il “bene comune” ed è capace di dare senso alla vita degli uomini e delle donne, vita fragile, votata alla morte, che nella fede diventa incontro con il Signore Vivente.
La fede non è una conquista dell’uomo ma è un dono di Dio. Questo è il mistero dinanzi al quale dobbiamo fermarci; allo stesso tempo non possiamo conoscere cosa c’è nel cuore delle persone. Sappiamo però che la fede è un dono di Dio che interpella l’uomo e gli chiede di essere accolto o rifiutato.
Davanti a questo dono la persona è libera anche di rifiutarla.
Altro punto sul quale il papa insiste molto, riguarda il fatto che la fede è un cammino: l’esperienza di Abramo prima del Risorto (in maniera definitiva) accompagna la vita delle persone e si fa storia nella vita terrena.
Questo cammino non è mai lineare ma il Dio di Gesù Cristo è paziente con le nostre debolezze, perché conosce il cuore dell’uomo e non cessa mai di cercarlo.
Altra punto: l’enciclica riafferma che la fede non è in antitesi con la ragione, la fede cristiana non è un salto nel vuoto, non è un sentimento cieco e neppure un fatto soggettivo, una concezione individualistica. La fede riguarda anche la vita degli uomini che pur non credendo desiderano credere, si legge a un certo punto dell’enciclica.
Già il Vaticano II ha affrontato in maniera profetica questo tema nella Lumen gentium, la costituzione dogmatica sulla Chiesa, e nella dichiarazione Nostra aetate. L’uomo ontologicamente, desidera credere nel divino, nel trascendente, al senso definitivo della vita.
Il relativismo è un segno di disperazione dell’esaltazione dell’individualismo; una chiusura dell’uomo su se stesso. Ma questo non può cancellare il bisogno biologico ed esistenziale di Dio che grida nel cuore dell’uomo. Questo è particolarmente vero nei giovani.
Spiega l’enciclica, che la fede è essenzialmente legata all’ascolto: Dio ci parla e ci chiama per nome. Cosa dice questo alla ragione contemporanea? Vuol dire che la fonte della verità non è l’esaltazione della ideologia del razionalismo.
Per Papa Francesco, la fonte della verità non è in noi, è in Dio. L’uomo è fatto ad immagine di Dio ed è questa somiglianza che modella la sua dignità. Noi siamo pienamente umani se riconosciamo di essere creature e non creatori.
La buona ragione si nutre di verità se si lascia illuminare dalla luce di Dio.
Allo stesso tempo, è falsa l’affermazione secondo cui vi è antitesi tra la fede e la ragione; la fede cristiana non è un salto nel vuoto, non è un sentimento cieco e neppure un fatto soggettivo, una concezione individualistica. È vero che la fede è sempre un dono, e di conseguenza un atto del libero arbitrio personale; ma la fede insieme alla buona ragione è capace di rischiarare il cammino di ogni essere umano, di far comprendere la storia della salvezza dell’uomo e dell’universo, di dare un senso alle difficoltà del vivere quotidiano.
Un’altra riflessione significativa dell’enciclica è l’affermazione che la fede si nutre di amore, anzi questa fede è il Dio che “è amore” (1Gv 4,8.16).
Qual è il tratto distintivo dei cristiani? Quello di aver “creduto all’amore” (cfr. 1Gv 4,16). Qui corriamo un grande rischio: quando sostituiamo il vero amore, con dei surrogati, gli idoli. Gli idoli sono un falso antropologico e teologico. L’idolatria è il contrario della fede, è l’idolatria la forma più alta di alienazione dell’uomo. Il volto dell’alienazione è il volto di un signore-padrone che ti illude di farti “felice”, ma che non ti permette né di essere libero, né di amore, né di essere felice.
Ultimo ma non ultimo, quando il Papa scrive che la fede “vede” e la fede “si conosce con il cuore”. Per spiegare questo “vedere”, papa Francesco si rifà al Vangelo di San Giovanni: “la Parola fatta carne noi abbiamo potuto vedere la sua gloria”, per questo “la luce della fede è quella di un Volto in cui si vede il Padre” (30). Per questo la fede come tale non è cieca. La fede non esiste come tale solo relativamente alla visione finale di Dio, perché siamo già ora in cammino, riceviamo la verità e la viviamo.
D’altra parte la fede conosce con il cuore: “Con il cuore si crede”, dice san Paolo. Ci aiuti a capire. Nella postmodernità il cuore è declinato solo nella dimensione sentimentale; si tratta solo di una lettura riduzionistica. Nella cultura biblica il “cuore è il centro dell’uomo, dove s’intrecciano tutte le sue dimensioni”, intelletto, volere e affettività, dice la Lumen fidei. Il “cuore” è il centro vivente della persona in quanto creata da Dio e in rapporto diretto con Lui. Nella fede tutte le forze della persona trovano la loro genesi.