«Adamo, dove sei?»; «Caino, dov’è tuo fratello?». Il dramma degli immigrati da una sponda all’altra del Mediterraneo sembra proprio richiamare il vulnus del peccato originale e della fratellanza incompiuta che nasce assieme al genere umano.
Durante l’omelia presso il campo sportivo “Arena” a Lampedusa, Papa Francesco non ha usato mezze misure: per il Santo Padre l’accoglienza del fratello lontano e sconosciuto interpella direttamente il rapporto dell’uomo con Dio.
Alcune settimane fa, all’apprendere la notizia dell’ennesimo naufragio di un barcone di immigrati, il Pontefice si è profondamente commosso: tragedie come quelle che, purtroppo assai frequentemente, si ripetono a largo del mare di Lampedusa, per il Santo Padre, sono “come una spina nel cuore che porta sofferenza”.
Sullo sfondo di una realtà così dolorosa, Francesco non ha però voluto ignorare le luci che illuminano il buio: “Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà!”, ha detto rivolto alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza che quotidianamente fronteggiano l’emergenza a Lampedusa e a Linosa.
Il Papa ha anche espresso un pensiero per i “cari immigrati musulmani”, ai quali ha augurato “abbondanti frutti spirituali” in occasione del digiuno del Ramadan che sta iniziando.
Le due citazioni iniziali della Genesi, quell’angoscioso “dove sei?” con cui Dio interroga prima Adamo e poi Caino, sono la domanda ad “un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio”, ha spiegato Francesco.
Così facendo, errore dopo errore, l’essere umano smette di vedere nell’altro un “fratello da amare”, lo declassa a qualcuno che “disturba la mia vita” e “il mio benessere”. E alla fine il “sogno di essere potenti come Dio”, può portarlo anche a “versare il sangue del fratello”, né più né meno come Caino.
“Dov’è tuo fratello?”, ha sottolineato il Papa, è una domanda che non è rivolta a qualcuno in particolare ma “a ciascuno di noi”, in particolare di fronte alla disperazione di uomini che, in cerca di serenità, di pace, di comprensione, di accoglienza e di solidarietà, “hanno trovato la morte”.
Di fronte a tragedie come quelle lampedusane, non si possono cercare alibi: ci si può arrampicare sugli specchi e dire che la responsabilità è di altri o che, nella migliore delle ipotesi, la colpa è “di tutti e di nessuno” ma Dio alla fine ci chiederà sempre conto del sangue innocente dei nostri fratelli.
“Abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna – ha proseguito il Pontefice – siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parla Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto”.
La cultura del benessere, alla fine, “ci rende insensibili agli altri”, ci porta alla “globalizzazione dell’indifferenza”: se qualcuno soffre “non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!”.
Alludendo al celebre personaggio manzoniano, tale “globalizzazione dell’indifferenza”, ci rende tutti degli “innominati”, ovvero dei “responsabili senza nome e senza volto”, ha osservato papa Francesco.
Il passaggio finale dell’omelia è il più inquietante: “Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?”, ha domandato il Santo Padre con riferimento alle tragedie degli immigrati. “Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini?”.
Si tratta di vere e proprie ‘stragi degli innocenti’, favorite dall’indifferenza dei tanti Erode dei nostri giorni, tutti intenti a “difendere il proprio benessere”. Allora è ormai tempo di chiedere al Signore “che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore”.
Dobbiamo domandare a Dio “la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo”, ha aggiunto il Pontefice.
Bisogna chiederGli perdono per la nostra indifferenza, per chi è affetto dalla “anestesia del cuore”, per chi, con le proprie “decisioni a livello mondiale”, ha creato “situazioni che conducono a questi drammi”, ha quindi concluso papa Francesco.
Al termine della celebrazione eucaristica, il Pontefice ha nuovamente ringraziato i lampedusani, menzionando in particolare il parroco don Stefano, “per l’esempio di amore, per l’esempio di carità, per l’esempio di accoglienza che ci state dando, che avete dato e che ancora ci date”.
Citando le parole del vescovo locale, il Papa ha infine definito Lampedusa “un faro”, auspicando che l’isola diventi “faro in tutto il mondo, perché abbiano il coraggio di accogliere quelli che cercano una vita migliore”.