Lasciarsi guardare dalla misericordia di Gesù; fare festa con Lui; mantenere viva la «memoria» del momento in cui abbiamo incontrato nella nostra vita la salvezza. È questo il triplice invito scaturito dalla riflessione di Papa Francesco durante la messa celebrata stamane, venerdì 5 luglio, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Tra i concelebranti era il cardinale Jorge Liberato Urosa Savino, arcivescovo di Caracas. Una presenza che il Pontefice, all’inizio del rito, ha voluto sottolineare ricordando che proprio oggi ricorre la festa nazionale del Venezuela.
All’omelia il Papa ha commentato il brano del vangelo di Matteo (9, 9-13) nel quale l’autore parla della propria conversione: l’esattore delle tasse che Gesù chiama a far parte dei dodici. Il messaggio che Gesù vuole dare — ha spiegato il Pontefice — è ripreso «dalla tradizione del popolo di Israele. Un messaggio profetico, ma che il popolo ha avuto sempre difficoltà a capire: misericordia io voglio e non sacrifici». Infatti il nostro è il Dio della misericordia. Lo si vede bene proprio nella vicenda di Matteo, ha spiegato Papa Francesco, che «non è una parabola»: è un fatto storico, «è accaduto».
Papa Francesco ha richiamato l’immagine di Gesù che passa tra «quelli che ricevevano il denaro delle tasse e poi lo portavano ai romani». Questi, ha evidenziato, venivano considerati uomini poco raccomandabili, perché «doppiamente peccatori: attaccati al denaro e anche traditori della patria». Tra di loro c’era Matteo, «l’uomo seduto al banco delle imposte». Gesù lo guarda e quello sguardo gli fa provare dentro «qualcosa di nuovo, qualcosa che non conosceva». Lo «sguardo di Gesù», ha spiegato il Santo Padre, gli fa avvertire «uno stupore» interiore; gli fa sentire «l’invito di Gesù: seguimi». E in quello stesso istante Matteo «è pieno di gioia». Insomma, ha commentato il Pontefice rievocando un famoso dipinto del Caravaggio, a Matteo «è bastato un momento soltanto» per comprendere che quello sguardo gli aveva cambiato la vita per sempre. In quel preciso istante, «Matteo dice di sì; lascia tutto e se ne va con il Signore. È il momento della misericordia ricevuta e accettata: vengo con te».
Al primo momento dell’incontro, che consiste in «un’esperienza spirituale profonda», ne segue un secondo: quello della festa. Il racconto evangelico continua infatti con la descrizione di Gesù seduto a tavola con pubblicani e peccatori, per «una festa — ha commentato Papa Francesco — con tutti quelli che non erano precisamente la crema della società», anzi, «erano quelli scartati dalla società». Ma questa per il Pontefice «è la contraddizione della festa di Dio: il Signore fa festa con i peccatori», mentre raramente la fa con i giusti. A questo proposito il Papa ha ricordato il capitolo 15 del vangelo di Luca dove si dice chiaramente che ci sarà più festa in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che hanno bisogno di conversione. E, più avanti, nello stesso capitolo si racconta di quel padre che fa festa per il ritorno del figlio peccatore. Ecco allora che la festa è per Papa Francesco «molto importante», perché si festeggia l’incontro con Gesù, la misericordia di Dio: «Lui guarda con misericordia, cambia la vita e fa festa».
Ma la vita non è tutta una festa. Lo sa bene Papa Bergoglio che nella sua lunga esperienza pastorale di sacerdote e vescovo — come ha confidato durante la celebrazione — si è sentito spesso chiedere: «padre, dopo questi due momenti, lo stupore dell’incontro e la festa, tutta la vita sarà una festa?». La risposta, ha detto il Pontefice, è «no» perché «la festa è incominciare una nuova strada», ma poi deve esserci «il lavoro quotidiano, che si deve alimentare con la memoria di quel primo incontro». Proprio come è avvenuto nella vita di Matteo, che «questo lavoro lo ha fatto», andando «a predicare il vangelo». In questo caso, ha puntualizzato Papa Francesco, non si tratta di «un momento»; si tratta di «un tempo», che si protrae «fino alla fine della vita».
Ma, si è domandato il Pontefice, di cosa bisogna fare memoria? Proprio «di quei fatti, di quell’incontro con Gesù che mi ha cambiato la vita, che ha avuto misericordia, che è stato tanto buono con me — è stata la risposta — e mi ha detto anche: invita i tuoi amici peccatori, perché facciamo festa». Infatti la memoria di quella misericordia e di quella festa «dà forza a Matteo e a tutti» quanti hanno deciso di seguire Cristo «per andare avanti». Questo, ha aggiunto il Papa, bisogna ricordarlo sempre, come quando si soffia sulle braci per mantenere vivo il fuoco.
Riannodando il filo del discorso il Santo Padre ha dunque individuato «due momenti e un tempo: il momento dell’incontro, dove Matteo viene guardato da Gesù con quello sguardo di misericordia, e il momento della festa, per incominciare il cammino; e il tempo della memoria, memoria di quei fatti». Anche perché tutta la predicazione di Cristo è stata un andare «per le strade a cercare i poveri, gli ammalati» per fare «festa con loro». Una festa che ha voluto estendere anche ai peccatori, attirandosi numerose critiche. Ma conosciamo la sua risposta: «Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori». Come dire — ha concluso Papa Francesco — «quello che si crede giusto, che si cuocia nel suo brodo. Lui è venuto per noi, peccatori».
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Fonte: L’Osservatore Romano, sabato 6 luglio 2013