Un enciclica che è un autentico passaggio di consegne tra il Papa emerito e il Pontefice in carica. Lumen fidei (La luce della fede) avrebbe completato la trilogia di Benedetto XVI sulle virtù teologali, iniziata con la carità(Deus caritas est, 2006) e proseguita la speranza (Spes salvi, 2007).
L’opera, quasi pronta al momento della rinuncia al pontificato da parte di papa Ratzinger, è stata completata da ulteriori contributi del suo successore, diventando così, di fatto, la prima enciclica scritta a quattro mani da due papi.
La prima enciclica firmata da papa Francesco si compone di quattro capitoli e sessanta paragrafi, che includono un’introduzione e una conclusione.
Nell’Introduzione (n°1-7) sono illustrate le motivazioni dell’Enciclica, a partire dalla capacità della fede di illuminare l’esistenza dell’uomo, aiutandolo a distinguere il bene dal male e a distoglierlo dalla visione ideologica che considera la fede un ‘salto nel vuoto’, che impedisce la libertà dell’uomo.
L’Enciclica si sofferma poi brevemente sull’Anno della Fede, la cui apertura è coincisa, lo scorso 11 ottobre, con il 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, il quale fu proprio “un Concilio sulla fede”, in quanto “ci ha invitato a rimettere al centro della nostra vita ecclesiale e personale il primato di Dio in Cristo”.
La fede non è quindi un presupposto scontato ma è in grado di illuminare ogni ambito dell’esistenza dell’uomo. È nella fede che rifulge l’amore di Dio che “ci trasforma, illumina il cammino del futuro, e fa crescere in noi le ali della speranza per percorrerlo con gioia”.
Nel primo capitolo (n°8-22), intitolato Abbiamo creduto all’amore (1Gv 4, 16), la fede è spiegata come “ascolto” della Parola di Dio, come “chiamata” ad una vita nuova e come “promessa” per il futuro. La fede è anche connotata dalla “paternità” di Dio, sorgente di bontà ed origine e sostegno di tutto.
Nella storia di Israele, in antitesi alla fede, c’è l’idolatria che disperde l’uomo in una miriade di desideri e lo “disintegra nei mille istanti della sua storia”, negandogli l’attesa della promessa. La fede è tutt’altro: essa è in primo luogo affidamento alla misericordia di Dio, che ama, accoglie, perdona e raddrizza “le storture della storia”.
Nella contemplazione della morte di Gesù, scrive il Santo Padre, “la fede si rafforza”: in quanto risorto, Egli è “testimone affidabile” e, credendo in Lui, partecipiamo “al suo modo di vedere”. Così come nella vita quotidiana ci affidiamo a specialisti quali l’architetto, il farmacista o l’avvocato, nelle “cose di Dio”, abbiamo in Gesù, colui che ce Lo spiega.
L’incarnazione di Dio permette che la fede non separi l’uomo dalla realtà ma, al contrario, lo aiuti a coglierne l’aspetto più profondo. Inoltre la fede non può essere “un fatto privato” ma si realizza all’interno del corpo della Chiesa come “comunione concreta dei credenti”, i quali non perdono la loro individualità ma, ponendosi al servizio degli altri, realizzano il loro vero essere.
Il secondo capitolo (n° 23-36), intitolato Se non crederete, non comprenderete (Is 7,9) spiega il legame tra fede e verità: se questo legame non esistesse, la fede si ridurrebbe a una “bella fiaba”, a una “proiezione dei nostri desideri di felicità”. Tanto più in un’era di crisi della verità, è dunque opportuno ribadire questo legame.
La mentalità moderna tende, riduzionisticamente, a credere solo in una “verità della tecnologia” di stampo positivista, in ciò che è “vero perché funziona”, oppure nella “verità del singolo”, mentre al contrario, guarda con molta diffidenza la “verità grande”, che spiega “l’insieme della vita personale e sociale” ed invece viene erroneamente associata ai tragici totalitarismi del XX secolo.
Non meno importante è il legame tra fede e amore (inteso non come umorale sentimento umano ma come amore di Dio) e quindi tra amore e verità, perché solo l’amore vero “supera la prova del tempo e diventa fonte di conoscenza”.
Parlando del “dialogo tra fede e ragione” e della verità nel mondo d’oggi, il Papa sottolinea che sese la verità è quella dell’amore di Dio, allora non si impone con la violenza, non schiaccia il singolo. Per questo, la fedenon è intransigente e il credente non è arrogante, perché la verità rende umili.Questo assioma ribadisce l’importanza del confronto interreligioso e del dialogo con i non credenti.
Il terzo capitolo (n°37-49), intitolato Vi trasmetto quello che ho ricevuto (1 Cor 15,3), ha come tema l’evangelizzazione. “Chi si è aperto all’amore di Dio – scrive il Papa – chi ha ascoltato la sua voce e ha ricevuto la sua luce, non può tenere questo dono per sé”.
La trasmissione della fede si compie, innanzitutto, di generazione in generazione, e ciò comporta un legame tra fede e memoria. Inoltre è“impossibile credere da soli”, perché la fede non è “un’opzione individuale”, ma apre l’io al “noi” ed avviene sempre “all’interno della comunione della Chiesa”.
Un “mezzo speciale” per la trasmissione della fede sono i sacramenti, di cui l’Enciclica cita in particolare il Battesimo e l’Eucaristia. Altri strumenti privilegiati sono la confessione della fede, attraverso il Credo, il Padre Nostro e il Decalogo, inteso non come “un insieme di precetti negativi”, ma come “insieme di indicazioni concrete” per entrare in dialogo con Dio, “lasciandosi abbracciare dalla sua misericordia”.
Dato che la fede è una sola, allora deve essere confessata in tutta la sua purezza e integrità:“l’unità della fede è l’unità della Chiesa”;togliere qualcosa alla fede è togliere qualcosa alla verità della comunione.
Il quarto e ultimo capitolo (n°50-60), intitolato Dio prepara per loro una città (Eb 11,16), illustra il legame tra la fede e il bene comune, ribadendo che la fede non serve solo per l’aldilà,non allontana dal mondo e non è estranea all’impegno concreto dell’uomo contemporaneo.
L’Enciclica si sofferma poi su tutte le realtà sociali illuminate dalla fede: la famiglia fondata sul matrimonio, inteso come unione stabile tra uomo e donna; i giovani, di cui il Papa cita in particolare “la gioia della fede” mostrata alle Giornate Mondiali della Gioventù; la natura, dono di Dio da rispettare e da porre al servizio del bene comune; la sofferenza e la morte, che non possono essere eliminate ma possono ricevere un senso e diventare affidamento alle mani di Dio che mai ci abbandona e così essere una “tappa di crescita della fede”.
Papa Francesco chiude il capitolo menzionando una delle sue esortazioni ricorrenti: “Non facciamoci rubare la speranza,non permettiamo che sia
vanificata con soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino”.
A conclusione dell’Enciclica, il Santo Padre invita a guardare a Maria, “icona perfetta” della fede, perché, in quanto Madre di Gesù, ha concepito “fede e gioia”.