Gerry Lane, ex rappresentante delle Nazioni Unite che ha lasciato il lavoro per dedicarsi alla famiglia, è costretto a ritornare sul campo quando scoppia una terribile pandemia che trasforma gli uomini in zombie e minaccia di cancellare l’intera umanità. Armato della sua capacità di sopravvivenza e della sua intuizione Gerry attraversa mezzo mondo, dalla Corea a Israele, dal Galles all’Atlantico, alla ricerca dell’origine del morbo e del modo per curarlo…
Tratto da un libro fatascientifico post-apocalittico (l’autore è Max Brooks, figlio di Mel Brooks), l’ultimo film di Brad Pitt, che lo vede nelle vesti sia di protagonista che di produttore, è, sotto il travestimento del genere zombie oggi tornato prepotentemente di moda al cinema (vedi anche Warm Bodies recensito in questo volume) e alla televisione (la serie The Walking Dead, che racconta di un mondo post apocalisse zombie, è uno dei più grandi successi della tv via cavo americana), un grande inno alla famiglia, unica “istituzione” cui l’uomo sembra potersi aggrappare anche nella tragedia collettiva, e unico motivo per lottare di fronte a forze apparentemente imbattibili.
Brad Pitt, ex funzionario delle Nazioni Unite rimesso sul campo più o meno con il ricatto (se non si dà da fare la famigliola verrà sbarcata dalle navi militari che garantiscono salvezza in mezzo all’oceano), viene spedito qua e là per il mondo (i suoi superiori devono avere una fiducia smisurata in lui, perché, a dispetto del nome della società di produzione di Pitt, l’Onu non sembra avere un piano B…) a fare quello che si fa quando scoppia un’epidemia, sia essa di colera o di SARS: cercare il cosiddetto paziente “0” per capire come tutto è cominciato e trovare una soluzione…
Il film in questo assomiglia volutamente a tanti altri rappresentanti del genere “epidemico”, dal classico Virus letale al più recente Contagion di Sodebergh, dove un pugno di eroici specialisti fa da argine alla catastrofe mondiale cercando tracce ed elaborando vaccini in una inevitabile corsa contro il tempo (anche se qui si dimostra che agli scienziati è sempre meglio mettere in mano una provetta anziché una pistola che non sanno usare…).
Più facile a dirsi che a farsi, comunque, muoversi in un mondo in cui la civiltà crolla e le persone ci mettono un attimo a trasformarsi in mostri arrabbiati e pronti a mordere e infettare. Gli unici a cavarsela bene, almeno all’inizio, sembrano gli Israeliani, grazie ai loro muri, e per un attimo la pellicola sembra seguire la via, francamente ambigua, del complottismo anti-ebraico (un po’ sulla scia delle leggende metropolitane che vogliono il Mossad a conoscenza dell’attacco dell’11 settembre e tutti gli ebrei salvi proprio quel giorno), che poi saggiamente evita, pur non risparmiandosi una stoccata all’illusione di chi crede che basti alzare un muro per tenere lontano il pericolo.
Di fatto l’astuto agente del Mossad che fa da guida a Gerry, stupito che gli israeliani facciano entrare all’interno della loro “fortezza” arabi ed ebrei indifferentemente, ricorda con molto senso pratico che ogni uomo salvato al contagio è uno zombie in meno da combattere.
In fondo, fin dalle origini del genere, con Romero, gli zombie si sono prestati a incarnare le ansie e le paure del mondo contemporaneo, si trattasse dell’omologazione consumistica che de-umanizza le persone o di minacce più oscure e anche qui gli scrittori hanno attinto a piene mani dai temi scottanti dell’attualità.
Antisionista o meno, comunque, la pellicola è di sicuro un product placement delle Nazioni Unite e delle organizzazioni internazionali in generale (hanno una loro parte nella salvezza anche un quartetto di diffidenti impiegati dell’OMS in un laboratorio sperduto del Galles, tra cui si distingue, più o meno incongruamente, l’italiano Pierfrancesco Favino) astuto almeno quanto quello della Pepsi Cola, che si guadagna un posto d’onore nella risoluzione finale.
Brad Pitt, forse grazie all’esperienza maturata con la sua squadra di figli, propri o adottati in giro per il globo, risulta straordinariamente credibile e non troppo super-uomo nelle vesti del padre disposto a fare “miracoli” per la salvezza dei suoi e del mondo intero, si tratti di far volare un aereo, di amputare una mano o di camminare in mezzo agli zombie come Mosè tra le acque del Mar Rosso… Merito anche della regia di Marc Forster, che riesce a rendere realistiche situazioni estreme, dando al film un voluto aspetto da reportage, che in qualche modo riproduce l’impostazione originaria del romanzo (che si presentava come una sorta di reportage di testimonianze sparse della “guerra agli zombie”).
Alla fine, infatti, al di là dei voluti rimandi alla cronaca di un mondo globalizzato e per questo più fragile di fronte alle minacce della natura (SARS, aviaria e altre epidemie di cui si ha sempre l’impressione di sapere poco e capire ancora meno), il film resta soprattutto un buon esempio di intrattenimento intelligente, certo, a dispetto dell’ispirazione prettamente “familiare”, non propriamente adatto al pubblico dei più giovani, date le numerose scene impressionanti di attacchi zombie, su cui i coreografi si sono ammirevolmente sbizzarriti.
Ce lo si deve godere, probabilmente, con il popcorn in mano e stando attenti a non saltare sulla poltrona, nonostante qualche incongruenza nella trama (possibile che per salvare il mondo ci sia a disposizione un unico virologo, e se è così conviene spedirlo in mezzo ai mostri?). Un’unica avvertenza: meglio spegnere i telefonini, irritano gli zombie e suonano sempre nel momento sbagliato….
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Titolo Originale: World War Z
Paese: USA
Anno: 2013
Regia: Marc Forster
Sceneggiatura: Matthew Michael Carnahan dal libro di Max Brooks
Produzione: Brad Pitt, Dede Gardner, Jeremy Kleiner, Ian Bryce per Plan B Entertainment/Apparatus Productions/Gk Films/Hemisphere Media Capital/Latina Pictures/Paramount Pictures/Skydance Productions
Durata: 116
Interpreti: Brad Pitt, Mireille Enos, Matthew Fox, David Morse, Moritz Bleibtreu, Pierfrancesco Favino
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