In occasione della sua prima solennità dei Santi Pietro e Paolo da Vescovo di Roma, papa Francesco ha imposto il pallio a 34 nuovi arcivescovi metropoliti.
È seguita la celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro, alla quale, come è consuetudine, ha preso parte anche una delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, guidata dal Metropolita di Pergamo Ioannis (Zizioulas), copresidente della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa ortodossa, accompagnato dal Vescovo di Sinope Athenagoras (Peckstadt), assistente del Metropolita di Belgio, e dall’Archimandrita Padre Prodromos Xenakis, vicesegretario del Santo Sinodo Eparchiale della Chiesa di Creta.
Durante l’omelia, il Santo Padre ha accolto la presenza di tanti vescovi da tutto il mondo come “una grande ricchezza che ci fa rivivere, in un certo modo, l’evento di Pentecoste”. Oggi, come allora, ha aggiunto, “la fede della Chiesa parla in tutte le lingue e vuole unire i popoli in un’unica famiglia”.
Dopo aver salutato le autorità ecclesiastiche e religiose presenti – menzionando in modo particolare la delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli – papa Francesco si è soffermato sulla prerogativa a “confermare” di cui un vescovo è investito.
Per spiegare il concetto, il Pontefice si è avvalso, anche stavolta, di una terna concettuale “ignaziana”. In primo luogo, ha detto, un vescovo deve “confermare nella fede”, sulla scia di San Pietro che dice a Gesù: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). In tal modo il Principe degli Apostoli esprime “una confessione che non nasce da lui, ma dal Padre celeste”.
Poco dopo, però, Pietro inizia a ragionare “in modo mondano” e rifiuta l’idea della morte e resurrezione del Maestro, suscitandone il veemente rimprovero: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo! (cfr. Mt 16,22-23)».
“Quando lasciamo prevalere i nostri pensieri, i nostri sentimenti, la logica del potere umano e non ci lasciamo istruire e guidare dalla fede, da Dio, diventiamo pietra d’inciampo”, ha commentato a tal proposito il Papa, ricordando che “la fede in Cristo è la luce della nostra vita di cristiani e di ministri nella Chiesa!”.
In secondo luogo, un vescovo deve “confermare nell’amore”: è l’insegnamento di San Paolo, quando, nella Seconda Lettura di oggi, scrive: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2Tm 4,7).
La battaglia di Paolo non è portata avanti senza armi: essa è, piuttosto, “la battaglia del martirio”, accompagnata dal messaggio del “dono di tutta la sua vita per Cristo e per gli altri”.
Paolo si è lasciato “consumare per il Vangelo”, senza risparmio, e ciò “lo ha reso credibile e ha edificato la Chiesa”. Il Vescovo di Roma, ha aggiunto Francesco, è chiamato a “vivere e confermare in questo amore verso Cristo e verso tutti senza distinzioni, limiti e barriere”.
La terza prerogativa di un vescovo è quella di “confermare nell’unità”. La presenza di tanti vescovi oggi a San Pietro “è il segno che la comunione della Chiesa non significa uniformità”, ha sottolineato il Papa. Nella Chiesa questa “varietà” si fonde sempre “nell’armonia dell’unità, come un grande mosaico in cui tutte le tessere concorrono a formare l’unico grande disegno di Dio”.
Ciò deve spingere a “superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa”. In tal senso, il pallio conferito oggi dal Pontefice ai 34 vescovi, “è segno della comunione con il Vescovo di Roma” e “con la Chiesa Universale” ma è anche un impegno per i vescovi stessi ad essere “strumenti di comunione”.
In conclusione dell’omelia, papa Francesco ha espresso ai vescovi presenti le “consegne” degli apostoli SS. Pietro e Paolo, affinché siano vissute da ogni cristiano: “Confessare il Signore lasciandosi istruire da Dio; consumarsi per amore di Cristo e del suo Vangelo; essere servitori dell’unità”.