Di seguito la seconda parte dell’intervista all’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi, apparsa ieri sul settimanale “Vita Nuova”, in cui, prendendo spunto da un recente libro di Luigi Alici, il presule esprime il proprio punto di vista sul ruolo dei fedeli laici nel momento presente. La prima parte è stata pubblicata ieri, venerdì 28 giugno.
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Ho notato nel libro di Alici il continuo rifarsi al “paradosso” cristiano che farebbe del fedele laico una persona continuamente combattuta al proprio interno e a cui solo la risposta della propria coscienza potrà indicare la via.
Il paradosso cristiano non va interpretato come un’insanabile contraddizione interna del cristiano, perché la fede e la ragione, come ci insegna la dottrina, vanno insieme e solo il peccato introduce la divisione. Quello di Alici è un modo per far sì che l’agire dei cattolici nella società e nella politica sia lasciato unicamente alla loro autonoma coscienza.
Alici sostiene che c’è un ambito di partecipazione politica non direttamente partitica in cui dovrebbe valere la collaborazione dei cattolici con tutti gli altri e un ambito strettamente partitico in cui vale la competizione. E’ d’accordo?
Non solo tra i partiti, ma anche nella società ci sono oggi antropologie in conflitto. Anzi, oggi si assiste alla competizione tra chi dice che non c’è una antropologia, una vera visione dell’uomo, e chi invece dice che c’è. In questi campi – penso alla cultura, all’animazione sociale, alla formazione dei giovani, alla comunicazione – non può esserci solo collaborazione. Smettiamola una buona volta di continuare a illuderci e a illudere su questo punto. Dialogo e rispetto non devono mancare mai, ma la collaborazione la si fa sulla verità.
Da cosa dipende tutto ciò?
Credo dipenda dall’aver cambiato lo scopo della presenza dei laici cristiani nel mondo. I laici hanno come scopo di ordinare a Dio l’ordine temporale – come dice il Concilio – o, in altre parole, di costruire la società secondo il progetto di Dio. Invece, lo scopo dei fedeli laici è stato ridotto a conseguire il bene comune, a costruire la democrazia, a realizzare la Costituzione, a far funzionare le istituzioni.
Perché l’obiettivo del bene comune non va bene?
Va bene, a patto però che in esso si faccia rientrare anche il rispetto dell’ordine del creato e il benessere spirituale e religioso delle persone. Non c’è vero bene comune quando Dio viene messo tra parentesi e quando a Dio non è riconosciuto un posto nel mondo.
L’Azione cattolica ha avuto una lunga storia. Qual è stato il suo momento critico secondo lei?
Lascio questo compito agli storici. Posso solo tentare qualche ipotesi. La cosiddetta “scelta religiosa” fu interpretata dagli uomini di Azione cattolica in modo ambiguo. Doveva comportare il concentrarsi sul proprium dell’Azione cattolica, quello che Benedetto XVI ha poi chiamato “il posto di Dio nel mondo”. E’ stata invece vissuta come un apparente disimpegno rispetto ad una presenza visibile e organizzata condannata troppo frettolosamente come preconciliare. Dico “apparente” perché – strano a dirsi! – da allora moltissimi dirigenti dell’Azione cattolica si impegnarono direttamente in politica, prevalentemente nei partiti di sinistra. Ultimo esempio è stato Ernesto Preziosi alle recenti elezioni politiche.
Allora a lei l’Azione cattolica non va bene?
Io credo nell’Azione cattolica, continuo ad esserne un sostenitore convinto e, a parte qualcuno e qualcuna, sono assai grato a quella diocesana per quello che fa e nutro grandi aspettative verso di essa. Credo però che l’Azione cattolica – sto parlando in termini generali – oggi abbia bisogno di riconsiderare la propria linea e il proprio ruolo. Ciò sarebbe di grande vantaggio non solo per la missione pastorale delle nostre Diocesi, ma anche per le altre forme di associazionismo dei fedeli laici.
In che modo?
Si tratta di essere fedeli, in maniera integrale e con generosità spirituale, all’insegnamento del Concilio Vaticano II: essere laici nel mondo per ordinarlo a Dio, mettendo in primo piano l’esigenza e l’urgenza dell’ordinarlo a Dio. Per l’Azione cattolica significa: recuperare la sostanza del proprio passato, anche di quello che oggi si ricorda con un certo inspiegabile disprezzo; recuperare la dottrina sociale della Chiesa in tutti i suoi sostanziali collegamenti con la dottrina cristiana; intendere la laicità nel modo che ci ha insegnato Benedetto XVI, cioè pensare che al mondo non bisogna solo adeguarsi se si vuole veramente servirlo; superare una visione inadeguata del Concilio, recuperandone tutto l’insegnamento dentro la tradizione della Chiesa e non le solite due o tre frasi adoperate in modo retorico; non minimizzare gli attacchi che oggi vengono portati alla natura umana e alla fede cristiana, accusando quanti cercano di reagire di voler ristabilire uno schema mentale integralista proprio del passato. La Chiesa ha un bisogno immenso di un’Azione cattolica così, che riprenda a formare laici capaci di costruire la società secondo il cuore e il progetto di Dio. Per questo continuo a pregare e a sperare…