International Catholic Film Festival: premiati ieri i vincitori

Tra i film in concorso, è stato l’americano “Noëlle” a vincere il Pesce d’Argento come “Miglior Film” della IV edizione del Festival, dedicata a Santa Kateri Tekakwitha

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Si è conclusa ieri sera, con la consegna dei Pesci d’Argento, la quarta edizione dell’International Catholic Film Festival – Mirabile Dictu, che ha avuto luogo a Roma dal 24 al 26 giugno. I premi sono stati assegnati nel corso di una cena di gala che si è svolta presso l’Auditorium Conciliazione e che è stata presentata dalla Presidente del Festival, Liana Marabini e da Armando Torno, giornalista e scrittore, Presidente della Giuria di questa quarta edizione, il quale ha definito il Festival “una iniziativa che ha un valore internazionale e di grande riferimento per tutto il mondo del cinema”. “Era un desiderio, e allo stesso tempo anche una sfida, dedicare un Festival internazionale al film cattolico” ha confidato Liana Marabini introducendo la serata.

Questo l’elenco dei premiati:

Miglior film

Noëlle di David Wall, USA. Questo film è stato scritto, prodotto e diretto da David Wall, che interpreta il ruolo di padre Jonathan Keene, un prete cattolico che arriva in una piccola città del New England, inviato dal vescovo per chiudere una parrocchia. Ma, a contatto con gli eccentrici abitanti della città, antichi segreti e profondi sensi di colpa nascosti in lui gli faranno sperimentare una trasformazione personale. 

Miglior regista

David Wall, Noëlle, USA

Miglior attrice protagonista

Katia Miran (Je m’appelle Bernadette di Jean Sagols), Francia

Miglior documentario

7 ans de conviction di Ariel Camacho, France

Miglior cortometraggio

Pour l’amour de l’Amour, di Michel-Marie Zanotti-Sorkine, Francia

“Da questa grande offerta di film – ha dichiarato Armando Torno riferendosi ai quasi 2000 lavori pervenuti alla presidenza del Festival – emerge un dato di fatto incontestabile: la fede è tornata al centro dell’attenzione del nostro tempo. Nel ‘900 si pensava di ignorare il tema della fede, il tema di Dio, molti temi spirituali. Si pensava che talune religioni scientifiche o talune ideologie potessero in qualche modo sostituire quello che in fondo è un momento essenziale dell’uomo. Questo nuovo Millennio ci ha restituito proprio il bisogno di Dio, il bisogno di riflessione della fede. E questi film lo dimostrano in mille maniere, in mille angolature, riprese, in mille colori. Soprattutto lo dimostrano i temi, i dialoghi, le situazioni, a volte i colori che dallo schermo ci dicono quanto sia importante il tema di riflessione sulla fede”.

“È intorno a questo mistero, a questa ricerca, a questo bisogno che è la caratteristica del nostro tempo, che è la nostra caratteristica – ha proseguito Torno –, che il film cattolico riflette la sua testimonianza, e questo Festival internazionale è una documentazione preziosa, anche perché i film che sono stati scelti sono tutti meritevoli e riportano al centro dell’attenzione questo grande mistero, questo bisogno di Dio che c’è nel nostro tempo, ma che l’uomo ha sempre avuto, benché a volte se ne sia scordato”.

L’edizione di quest’anno del Festival è stata dedicata a santa Kateri Tekakwitha, la prima santa pellerossa d’America. E proprio a un film su questa santa, “In Her Footsteps: The Story of Kateri Tekakwitha” di Matt Gallagher, prodotto da Salt & Light TV, è stato attribuito il Premio della “Capax Dei Foundation”. Il riconoscimento è stato ritirato da Padre Thomas Rosica, direttore della casa di produzione Salt & Light TV, che ha già realizzato 47 documentari. “È una santa molto particolare – ha rilevato padre Rosica –, la cui storia risale a 400 anni fa: una giovane cacciata via dalla sua famiglia, che non era cristiana ma fu convertita dai Padri gesuiti e divenne una grande missionaria per il Nord America. È poi morta vicino a Montreal, in Quebec: è un vero ponte tra i nostri Paesi. Il suo messaggio è sempre di grande valore, perché ci ha insegnato la fedeltà a Dio, al Vangelo, la castità, la purezza del cuore, il potere di evangelizzare nonostante la pressione contraria della sua famiglia”.

Nel corso della serata di ieri è stato infine conferito il premio alla carriera all’artista francese Marie-Christine Barrault, protagonista di oltre 70 pellicole, ma attiva anche nel teatro, nella musica e nella televisione.

Nel suo saluto conclusivo, il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, dicastero vaticano che ha accordato fin dal primo anno il suo patronato al Festival, si è detto “profondamente conquistato dalla settima arte”. Ha fatto cenno al “primo film che più ha inciso dentro di me, che mi ha lasciato una traccia indelebile: La parola, di Theodore Dreyer”. Ha ricordato alcuni “grandi autori della cinematografia”, come Tarkovskij, Bresson, Bergman, “e chi ha visto le loro opere sa cosa può essere un film, non soltanto per trasmettere grandi realtà umane, ma anche grandissime emozioni religiose, spirituali”. “È necessario sempre, comunque, che in un film ci siano due componenti – ha proseguito Ravasi –, che purtroppo nel cinema moderno non sempre si trovano: da un lato la profondità dei temi, della ricerca, l’interrogazione, la grande domanda che artiglia la coscienza; dall’altra parte la bellezza, l’estetica, che non necessariamente si coniuga automaticamente con un tema religioso”.

Il cardinale ha quindi narrato ai presenti un episodio personale e recentissimo: la visita, quindici giorni addietro, della vedova di Jorge Luis Borges, che gli ha affidato l’ultima edizione integrale critica di tutte le opere del marito, perché la consegnasse a Papa Francesco, che aveva conosciuto Borges da giovane. La vedova ha donato personalmente quest’opera al Pontefice, e alla fine dell’incontro ha ricordato una frase del marito, che a proposito della fede diceva: ‘Morire per una religione è molto più facile che non viverla fedelmente ogni giorno’ ”.

“Il fondamentalismo insegna” ha notato Ravasi, per poi concludere: “La profondità dev’essere rappresentata anche con la bellezza, che – lo diceva Virginia Woolf –, ha sempre due volti, due tagli: un taglio di gioia, ma anche un taglio di drammaticità, di dolore, ed è solo così che riesce a ferire il cuore. Ecco perché l’autentica cinematografia, per essere profonda e bella, deve avere questi due volti, sempre: il volto della domanda, del dramma, e il volto della scoperta, dell’epifania. Solo così riesce a ferire il cuore e a impedirci di assistere a uno spettacolo e di uscire indenni da una mera esperienza della settima arte, che è il cinema”.

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ZENIT Staff

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