Nigeria: viaggio nel fondamentalismo religioso

Il pericolo costante della setta Boko Haram per i cristiani

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Nell’Est della Nigeria, c’è uno spicchio di Paese dove è presente la diocesi più pericolosa del Continente Nero. Le malattie e la fame sono problemi che esistono, ma a rendere ancor più caldo il clima dello Stato più popoloso d’Africa non è il sole torrido o le strade polverose, ma la piaga del fondamentalismo islamico.

In particolare il fantasma della setta Boko Haram è sempre presente e rappresenta un pericolo costante per tutti gli abitanti del posto, cristiani in testa. L’ambiente nigeriano si trova ad essere una bomba ad orologeria pronta ad esplodere in qualsiasi momento. Qui il terrorismo è continuo, brutale e preferisce il coltello al kalashnikov, facendo dell’odio verso i cristiani il punto di forza di questa setta integralista.

Dal punto di vista socio economico la Nigeria rappresenta un importante nodo di scambio. Fu evangelizzata nello scorso secolo dai missionari irlandesi, e la convivenza pacifica tra le religioni è sempre stata una conseguenza appurata.

Boko Haram invece fa rima con odio fanatico, poiché questo gruppo mira a dividere e sconvolgere una volta per tutte questa compatibilità religiosa che dura, secondo loro, da troppo tempo. I musulmani devono abbracciare il fanatismo, altrimenti diventano bersaglio dei guerriglieri, mentre i cristiani se ne devono andare, oppure devono convertirsi. Chi non si piega a questo feroce dualismo viene ucciso, o vive nel terrore di subire violenza da un momento all’altro. Secondo Boko Haram la cultura rende liberi ed è peccato. Per questo vogliono che i giovani crescano nell’ignoranza, essendo così più facili da manovrare.

Il gruppo si rifà molto a quello dei talebani afghani, ma il loro vero obiettivo è quello di instaurare in Nigeria uno stato islamico.

In questo fronte anche la Chiesa dà il suo contributo: i sacerdoti ed i vescovi restano al loro posto. Hanno le idee chiare e rifiutano scorta ed auto blindate, restando fedeli alla loro missione di non abbandonare i fedeli finché non resti una sola anima di cui prendersi cura.

L’ex vescovo della capitale Abuja è oggi il Cardinale John Onaiyekan, che incontrammo a novembre scorso, subito dopo che Papa Benedetto XVI lo nominò Cardinale. Egli stesso ci disse della necessità e dell’aiuto che anche i mass media moderni possono dare alla popolazione nigeriana, in modo da diffondere un messaggio di speranza e di pace per le persone del suo Paese.

Essendo uno Stato in eterna lotta, uno dei problemi più ricorrenti sono gli attentati, come quello avvenuto il 25 dicembre 2011 durante la Santa Messa di Natale.

A raccontarci questa esperienza è Jean Paul Kayihura, responsabile continentale di Radio Maria in Africa, che in quel periodo era presente proprio nella capitale nigeriana. Cinque esplosioni che provocarono un centinaio di morti: “Mi trovavo in una Chiesa vicina a quella dell’attentato. Sono rimasto profondamente scioccato perché la gente era andata lì a pregare, per questo era innocente, poiché in queste situazioni non c’è e non deve esserci nessuna manifestazione della violenza. Probabilmente sono altri i motivi di questi gruppi di musulmani fanatici, che utilizzano la religione per mascherarla. Ogni volta, infatti, che si verifica un attentato tutti i capi religiosi lo condannano”.

Secondo lo stesso rappresentante della radio cattolica molto attiva in Africa, la soluzione potrebbe arrivare dallo Stato: “Deve garantire la sicurezza – prosegue – Bisogna amplificare il messaggio della pace fino a quando ogni nigeriano si senta coinvolto nella ricerca della pace, in modo da evitare che un piccolo gruppo disturbi la collettività o lo sviluppo del Paese. Solo la sicurezza permette lo sviluppo. Per questo bisogna insistere sull’educazione alla pace di tutte le religioni”.

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Daniele Trenca

Daniele Trenca è laureato in Editoria Multimediale e Nuove Professioni dell’Informazione presso “Sapienza - Università di Roma” con una tesi in Sociologia delle Relazioni Internazionali sugli scenari della guerra cibernetica, meglio conosciuta come Cyberwarfare. Giornalista pubblicista ha collaborato con le seguenti testate “Il Tempo”, “L’Ottimista” e “World Family of Radio Maria”.

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