Rinnegare sè stessi e prendere la propria croce. È possibile?

Essere aperti alla speranza di una nuova vita, che ha come pilastro la sequela di Gesù

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L’insegnamento di Gesù  alcune volte viene offerto ai suoi discepoli rispondendo a qualche loro domanda. Altre volte, come nella situazione del Vangelo odierno, viene a noi donato partendo da una questione che Lui stesso pone ai suoi apostoli. “Chi sono io secondo la gente?» (Lc 9,18b)”.

Questa domanda di Gesù vuole rivelare la questione vitale della Sua vera identità. Non è possibile seguire qualcuno, avere una amicizia intima con una persona se prima non la si conosce veramente. La stessa cosa, in maniera molto più ampliata e profonda, è valida per Gesù. 

L’unico che risponde correttamente alla domanda di Gesù è l’apostolo Pietro, il quale riconosce Gesù come il Cristo. A motivo di questa professione di fede di Pietro, Gesù rivela la Sua missione che ha ricevuto dal Padre. “«Il Figlio dell’uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno». (Lc 9, 22)”.

Queste parole sono di grande aiuto anche a noi, che spesso abbiamo uno visione trionfalistica di Gesù. Riconoscere Gesù come Messia, come Re della nostra vita, può essere interpretato come un sostegno per avere successo, potere, stima, ammirazione. Ma in realtà, queste parole di Gesù dicono esattamente in contrario, e ci riportano alla verità. Se hanno trattato così Gesù, anche i suoi discepoli riceveranno le stesse persecuzioni, oltraggi, rifiuti. Questo perché i discepoli di Cristo formeranno, dopo la sua morte e resurrezione, il corpo mistico di Cristo, ed avranno una destino comune a Lui sia nella terra che nel cielo. 

Non  a caso, le parole che seguono l’annunzio della Sua passione, non sono sono riferite a Lui stesso. Gesù si rivolge ai suoi discepoli.

“Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà.” (Lc 9, 23-24).

Queste parole appaiono a prima vista dure ed incomprensibili, ma in realtà esse sono un dono di Dio per tutti noi. Rinnegare se stessi non significa eliminare quello che abbiamo di bello, di buono, di vero nella nostra vita. Il bello, il buono, il vero vengono da Dio. E tutto quello che viene da Dio va custodito, confermato, rinnovato, amato. Rinnegare se stessi significa rifiutare, eliminare tutti quei pensieri, quei propositi, quei gesti che nascono dal nostro egoismo, e che ci allontanano da Dio e dal prossimo. Rinnegare se stessi significa saper rinunziare al proprio “io” per dar spazio a Dio, significa saper fare un passo indietro per accogliere le esigenze dell’altro, significa vivere con maggiore altruismo invece di rimanere rinchiusi nel proprio egoismo. Il rinnegare se stessi è un rinnegare qualcosa per acquistare un’altra cosa di maggior valore e durata. 

Dopo aver detto di rinnegare se stessi, Gesù lascia seguire un’altra parola: prendere la propria croce ogni giorno.

Rinnegare se stessi, rinunziare a ciò che in quel momento è la nostra fonte di vita costituisce sicuramente una sofferenza. Ma non è questo ciò che Gesù vuole comunicarci in questo Vangelo. 

La croce non è un qualcosa che deriva dal nostro comportamento, dal nostro modo di agire o dal nostro modo di pensare.

La croce è la sofferenza che viene posta sulle spalle a motivo della nostra salvezza. Gesù ha portato la croce per tutti noi, affinché noi potessimo essere salvati attraverso il Suo sacrificio.

Gesù chiede ai suoi discepoli di portare la croce, così come ha fatto con Simone il Cireneo, perché in questa maniera noi potessimo seguirlo sino al Calvario, sino all’ultimo istante della nostra vita. 

Quanto profonde e quanto sono vere queste parole. Soldi, ricchezza, potere, successo, ammirazione, agli occhi del mondo hanno un grande valore, ma agli occhi di Dio costituiscono un pericolo, perché sono fonti di distrazioni che ci fanno dimenticare la nostra meta finale, il vero senso della nostra vita, il perché abbiamo ricevuto il dono della vita sulla terra. 

La sofferenza costituita da una malattia fisica, dalla perdita del posto di lavoro, dall’incomprensione con la moglie o con il marito, l’incomunicabilità con i figli, la morte di una persona cara, sono tutte situazioni che appesantiscono la nostra vita, ci schiacciano per terra e ci costringono a guardare al cielo, a rivolgerci a Dio.

Quante vite di santi hanno iniziato il loro cammino di conversione proprio quando gli è stata messa sulle loro spalle una croce, che li ha fatti rientrare in stessi, facendoli comprendere l’infinito amore di Dio per loro. 

Davanti all’arrivo della croce esistono due possibilità. La prima, quella di salvare la propria vita, ossia cercare di fare di tutto per mantenere la propria situazione esistenziale evitando o nascondendo o rifiutando totalmente quella sofferenza. Oppure la seconda possibilità, quella di considerare l’opportunità di vedere chiuso un capitolo della propria vita (che vuole dire nel concreto perdere la propria vita) ed essere aperti alla speranza di ricevere una nuova vita, che ha come pilastro la sequela di Gesù, la compagnia del Suo Amore, l’unica vera consolazione che non conosce delusione. 

Questa è la scelta che viene posta davanti ad ogni uomo. Dalla scelta presa, si possono riconoscere chi sono i veri cristiani, che attraverso la loro testimonianza di vita, fanno quotidianamente, nella Chiesa e davanti al mondo, la loro professione di fede in Gesù.

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Osvaldo Rinaldi

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