Nomadi, pastori, sposi della Chiesa, scevri da quella “borghesia dello spirito e della vita” che spinge ad adagiarsi, a ricercare una vita comoda e tranquilla. Con poche ma significative pennellate, Papa Francesco traccia il ritratto di coloro che rappresentano la Chiesa universale nel mondo. E indica i criteri alla base della scelta per le nomine episcopali.
Queste parole il Pontefice le ha pronunciate stamane, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, dove ha ricevuto in Udienza i Rappresentanti Pontifici riuniti in questi giorni a Roma per le Giornate a loro dedicate nell’Anno della fede (21-22 giugno).
“Questo discorso l’ho scritto io!” ha affermato il Santo Padre, proprio a sottolineare il suo forte interesse per i rappresentanti del Successore di Pietro “nelle Chiese sparse in tutto il mondo e presso i Governi”. “Vedervi oggi così numerosi mi dà anche il senso della cattolicità della Chiesa, del suo respiro universale” ha aggiunto, ringraziando anche per l’importante “lavoro” di “costruire la Chiesa” non da “intermediari”, ma da “mediatori”. Mediando “fate la comunione”, ha spiegato il Pontefice, ma per mediare “è necessario conoscere”, non solo le numerose carte, ma anche “le persone”. Per questo, ha rimarcato, “considero che il rapporto personale tra il Vescovo di Roma e voi sia una cosa essenziale”.
Al di là delle “parole meramente formali o di circostanza” che – ha detto – “farebbero male a voi e a me”, Papa Bergoglio ha offerto poi alcuni spunti sull’essere Rappresentanti Pontifici. Innanzitutto, vivere una vita da “nomadi”: “L’ho pensato tante volte: poveri uomini! – ha esclamato il Papa – ogni tre, quattro anni, cambiate posto, passate da un Continente all’altro, da un Paese all’altro, da una realtà di Chiesa ad un’altra, spesso molto diversa; siete sempre con la valigia in mano”.
Ciò comporta una “mortificazione”, perché “andare con la valigia in mano è una mortificazione, il sacrificio di spogliarsi di cose, di amici, di legami e iniziare sempre di nuovo”. “Vivere nel provvisorio – ha proseguito – uscendo da se stessi, senza avere un luogo dove mettere radici” non è facile, eppure è la via privilegiata per amare “la Chiesa e il Paese che siete chiamati a servire”.
A tutto ciò si aggiunge spesso la sofferenza di vivere una “vita difficile, in luoghi a volte di conflitto”. “Quanto dolore, quanta sofferenza!” ha sospirato il Papa, “un continuo pellegrinaggio senza la possibilità di mettere radici in un posto, in una cultura, in una specifica realtà ecclesiale”. Tuttavia, in questa vita in cammino, c’è sempre “Gesù Cristo che vi tiene per mano” ha rassicurato, certi che “la stabilità non sta nelle cose, nei propri progetti o nelle ambizioni, ma nell’essere veri Pastori che tengono fisso lo sguardo su Cristo”.
Francesco ha quindi citato Montini, che nel 1951, ancora Sostituto della Segreteria di Stato, ricordava che “la figura del Rappresentante Pontificio «è quella di uno che ha veramente la coscienza di portare Cristo con sé», come il bene prezioso da comunicare, da annunciare, da rappresentare”. Il Signore, ha ribadito Bergoglio, è infatti l’unico bene “che non delude”, al contrario delle prospettive di questo mondo che “spingono a non accontentarsi mai”. Pertanto, i Nunzi e Rappresentanti Pontifici sono chiamati ad una “familiarità con Gesù”, da vivere come “alimento quotidiano” “nella preghiera, nella Celebrazione eucaristica, nel servizio della carità”.
Anche gli uomini di Chiesa, ha avvertito infatti il Papa, corrono il rischio di cedere alla “mondanità spirituale” di cui parlava De Lubac, ovvero quello “spirito del mondo, che conduce ad agire per la propria realizzazione e non per la gloria di Dio”. Ritornano allora le parole del beato Giovanni XXIII, che nel suo Giornale dell’Anima, affermava che per l’efficacia di questo ministero, bisogna “potare continuamente la vigna della sua vita da ciò che è solo ‘fogliame inutile’ e andare diritto all’essenziale, che è Cristo e il suo Vangelo, altrimenti si rischia di volgere al ridicolo una missione santa”.
“Ridicolo” è una parola forte, ha osservato il Pontefice, ma è una parola vera, perché “cedere allo spirito mondano espone soprattutto noi Pastori al ridicolo”. “Potremo forse ricevere qualche applauso, ma quelli stessi che sembreranno approvarci, poi ci criticheranno alle spalle” ha chiosato Bergoglio.
Quello di “Pastori”, ha poi precisato, è un compito da svolgere sempre “con profondo amore”, ma anche con “professionalità”, che può diventare un “cilicio”, ma soddisfa le aspettative della Chiesa verso un Rappresentante Pontificio, affinché non perda la sua “autorità”.
Un’ultima parola, il Pontefice l’ha spesa per il delicato compito di realizzare l’indagine per le nomine episcopali. Il primo criterio è che “i candidati siano Pastori vicini alla gente” ha sottolineato. Se uno è “un gran teologo, una grande testa: che vada all’Università, dove farà tanto bene!”. La Chiesa – ha rimarcato – ha bisogno di pastori “che siano padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; che amino la povertà, interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, che non abbiano una psicologia da Principi”.
In particolare, il Successore di Pietro ha messo in guardia da “quelli che ricercano l’Episcopato”. Questo “non va” – ha detto – i futuri vescovi non siano “ambiziosi”, ma “sposi di una Chiesa, senza essere in costante ricerca di un’altra”; “capaci di ‘sorvegliare’ il gregge che sarà loro affidato”; di “vigilare” e “vegliare” su di esso.
Ringraziando ancora una volta “per il servizio importante e prezioso”, Papa Francesco ha concluso il discorso affidando i presenti alla protezione della Vergine e esprimendo una particolare richiesta: “Per favore, vi chiedo di pregare per me, perché ne ho bisogno”. Questa sera, alle 20.30, il Santo Padre cenerà con i Rappresentanti Pontifici nel Cortile ovale della Casina Pio IV in Vaticano.