Alla fine di luglio, Papa Francesco incontrerà a Rio de Janeiro i partecipanti della Giornata Mondiale della Gioventù. Quello che è diventato l’evento più numeroso e coinvolgente del mondo cattolico, a scadenza biennale, fu un’intuizione del beato Giovanni Paolo II. Da buon comunicatore capì che il futuro della Chiesa passava attraverso i giovani e che bisognava proporre loro una formula di comunione e comunicazione confacente alla loro cultura e al loro linguaggio.
Papa Francesco, da buon sudamericano, ha una capacità di relazionarsi col prossimo spontanea e calorosa, capace di creare empatia e consenso, elementi necessari per la permeabilità di un messaggio che è quello del Vangelo.
Marshall McLuhan, il più grande mediologo di tutti i tempi, negli anni Settanta già affermava che non è affatto l’autorità della Chiesa ad essere in causa, ma le sue forme.
“I giovani – scriveva - accettano l’autorità del Disc jockey perché li mette in comunicazione con ciò che è nel vento, nell’aria. Essi vi vibrano all’unisono. Il modo nuovo di pensare e di parlare, il nuovo stile al quale tutti si conformano è acustico. Il nuovo metodo non consiste nel vedere e nel fare, ma nel regolarsi nella giusta frequenza o giusta lunghezza d’onda come si diceva una volta. E’ l’idea stessa di comunicazione che è cambiata. In un mondo circoscritto, coerente, vale a dire nel mondo di Newton, la comunicazione si opera attraverso connessioni e legamenti. Nel mondo elettronico non c’è più connessione, ma superfici separate che vibrano all’unisono oppure sono in disaccordo”.
Per esprimere la loro idea di comunicazione, i giovani si servono di alcune espressioni inglesi ispirate al mondo elettronico e acustico: to be right on (essere esattamente a punto), to be with in (andare a ritmo), to be in (essere addentro), catch the right vibration (vibrare all’unisono con), to turn on (regolare un apparecchio elettronico), to tune in (sintonizzarsi su una data frequenza). Come nel vangelo di S. Giovanni “ chi ha orecchie per intendere intenda”, si regoli sulla giusta frequenza.
Oggi la maggior parte della gente non ha orecchie per intendere, ma solo per udire. Udire è limitarsi a fare attenzione, per intendersi, con gli occhi, capire in che modo le parole arrivano, ciò che dice colui che parla: ma non è intendere, essere sulla frequenza o lunghezza d’onda dell’emittente. Cristo stesso utilizza questa metafora: parla di udire in opposizione a comprendere.
Gli scribi erano degli uditori, scrutavano i testi “Qui è stato detto questo… e tu dici quest’altro”. Ma essi non compresero: non avevano orecchie per intendere, ma solo per udire. Questa situazione si ripete anche oggi: possiamo avere tutti i titoli richiesti, ma non essere capaci di accordarci sulla giusta frequenza. Cristo dice ancora: “Le pecore conoscono la mia voce. Io conosco le mie pecore ed esse riconoscono la mia voce. Ma se voi non riuscite a capirmi, non fate parte del mio gregge”.
Lo dice molte volte nel suo Vangelo: la maggior parte di questa gente non appartiene al mio gregge, viaggia su una frequenza sbagliata. Se intendono la mia voce è perché il Padre li ha messi sulla giusta frequenza. Li ha programmati dal di dentro, perché potessero capire il Cristo. Queste cose leggiamo in S. Giovanni: il Padre mi ha dato alcuni che sanno comprendermi, altri che si accontentano di udire; costoro non sanno sintonizzare il loro apparecchio, non capiscono nulla.E’ effettivamente un grande mistero. Ritornano allora attuali le parole di Papa Francesco quando dice ai suoi preti all’apertura del Congresso della Diocesi di Roma del 17 giugno: “Cari fratelli, di pecore ne abbiamo una e ne mancano novantanove, andiamo a cercarle”, chiediamo “la grazia di uscire ad annunciare il Vangelo”, perché “è più facile trovarsi in casa con una sola pecora, pettinarla, accarezzarla”. Poi ha esclamato: “Ma il Signore vuole noi preti, e anche voi cristiani, pastori, e non pettinatori di pecore…”.