Nella Legenda aurea di Jacopo da Varazze (XIII secolo) leggiamo: «Alcuni si chiedono se Pietro e Paolo morirono lo stesso giorno. […] Gerolamo e quasi tutti i santi che parlano di questo concordano su di un fatto, che morirono lo stesso giorno e anno, come anche si può chiaramente desumere dall’epistola di Dionigi, e come dice Leone o Massimo –secondo alcuni in un sermone- dove dice questo “Se riteniamo che subirono la stessa sentenza nello stesso luogo e per ordine dello stesso tiranno, non lo facciamo senza ragione. Subirono la passione in uno stesso giorno per giungere assieme a Cristo, nello stesso luogo perché a nessuno dei due mancasse Roma; sotto un solo persecutore, perché cadessero vittime di una identica crudeltà. Il giorno corrisponde al loro merito, il luogo alla gloria, l’identità di persecutore alla loro virtù”. […] A proposito di questo esiste una poesiola: Se san Paolo ebbe la spada, Per San Pietro fu la croce: Stesso luogo, stessa luce, Stesso duce fu Nerone, E fu Roma la passione» (cap. LXXXIX).
Proprio a Roma, luogo del martirio di Pietro e Paolo, crocifisso uno, decapitato con la spada l’altro, proprio nella città che li festeggia come santi patroni, troviamo una delle più belle rappresentazioni artistiche a loro dedicate, ovvero le due tele dipinte da Caravaggio per la cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo. Queste due tele non sono propriamente dei ritratti, piuttosto si impegnano nel ritrarre il legame tra l’interiorità del santo e Dio, che è l’essenza di ogni santità.
Le due tele vengono proposte a Caravaggio in un momento molto felice della sua vita romana. Contemporaneamente alla commissione della Cappella Contarelli, dedicata al ciclo delle storie di san Matteo, per la Chiesa di San Luigi dei Francesi, riceve infatti da monsignor Tiberio Cerasi, tesoriere di Clemente VIII, l’incarico di lavorare per la sua cappella in Santa Maria del Popolo. Caravaggio può entrare così nell’ambito dei più importanti artisti che lavoravano a Roma, quali per esempio Annibale Carracci, al quale il Cerasi aveva commissionato l’Assunta per collocarla sull’altare, e Carlo Maderno, al quale era stato richiesto il progetto per la stessa cappella, che doveva ampliare la vecchia cappella Foscari. A Caravaggio, Tiberio Cerasi chiede, invece, due dipinti su tavola di cipresso, rappresentanti il martirio di san Pietro e quello di san Paolo, secondo il contratto stipulato nel 1600.
Le prime versioni realizzate vengono rifiutate dal committente, e Caravaggio deve realizzare allora due nuovi dipinti che verranno collocati nella cappella, dove tuttora sono conservati.
Questi due dipinti scelgono di rappresentare due momenti diversi della vita dei santi: per san Pietro il martirio, per san Paolo la conversione sulla via di Damasco. Ciononostante, la simmetria tra le due opere e la omogeneità di significato risulta evidente nella capacità della pittura. Infatti san Pietro viene dipinto proprio nel lento issarsi della sua croce che, come è noto, fu posta con la testa in basso; san Paolo viene mostrato disarcionato dal cavallo, con gli occhi accecati, nella novità di qualcosa che sta ancora accadendo. Entrambi sono colti in un momento dinamico, in un movimento di rovesciamento. La crocifissione a testa sotto del vecchio Pietro e il disarcionamento del giovane Paolo sono l’identico andamento di una sovversione delle prospettive del mondo: un guardare le cose da un punto di vista prima inattingibile, che rovescia la visione, trovando il proprio centro solo in Dio. Caravaggio sembra saper rappresentare in entrambe le tele, seppure con narrazioni diverse, quel movimento di conversione che non finisce mai per tutta la vita del santo, e che significa sovversione e cambiamento, significa lasciarsi andare a Dio, affidarsi totalmente e globalmente, tanto da lasciarsi rovesciare. Guardando le due tele scopriamo infatti un unico dinamismo, e colpisce l’identica posizione delle braccia dei due santi: le braccia di Pietro inchiodate sulla croce, quelle di Paolo allargate nella caduta, sono braccia aperte, l’apertura di chi si abbandona Così lo sguardo cieco di Paolo rappresenta lo stesso movimento: un non vedere più per vedere sempre.
La profondità di Caravaggio sta anche nella modalità con cui nelle versioni definitive riesce a dire questo legame con Dio, che è il denominatore comune e la condizione indispensabile per ogni respiro di fede. In un atteggiamento, anch’esso comprensibile solo con un rovesciamento, essi liberamente scelgono di essere schiavi di chi li chiama: Pietro non persegue il martirio, Paolo non cerca la conversione, ma entrambi ricevono e accettano, allargando le braccia. La prima versione della Conversione di san Paolo fu giudicata poco corretta in quanto Cristo appariva troppo violentemente presente, tanto da spezzare un ramo al pioppo alla sua sinistra, e quasi sembrava che la libertà di Paolo fosse annientata. Si vivevano gli anni della riforma protestante, che proprio sulla questione del libero arbitrio aveva creato un punto di discussione, e allora è come se i committenti chiedessero a Caravaggio di pronunciarsi correttamente con il linguaggio della pittura. E Caravaggio per questa cappella -come anche per la cappella Contarelli di san Luigi dei Francesi-, riesce a rappresentare, con efficacissime soluzioni pittoriche, il rapporto tra l’onnipotenza di Dio e la libertà dell’uomo, nel momento della chiamata e nel momento del martirio.
Nel contratto del Cerasi era previsto che Caravaggio presentasse, ancor prima dei quadri finiti, dei disegni o dei bozzetti perché fossero approvati. Dal fatto che le prime versioni non furono accettate, possiamo presumere che egli non abbia presentato alcun bozzetto e che, confidando nella sua rapidità esecutiva, abbia consegnato direttamente le opere finite, incorrendo nel rifiuto. Sappiamo che questo inconveniente capitò spesso a Caravaggio, e sicuramente consente alcune riflessioni, di carattere propriamente tecnico e anche poetico. Egli lavorava in studio dal vero, atteggiando i modelli nei vari personaggi da ritrarre, e per questo non era propenso a presentare bozzetti e studi preventivi. Non concepiva forme idealizzate come i pittori del tardomanierismo romani, non lavorava con manichini, ma usava modelli veri, in carne ed ossa, presenti e agenti davanti ai suoi occhi. Era propenso a lavorare direttamente sulla tela, facendo emergere le figure dal buio, costruendo l’opera lentamente, per piccoli scarti approssimativi. Grazie anche a questa tecnica, le figure di san Pietro e san Paolo ancora si muovono davanti agli occhi dei fedeli, in quell’abbassamento che significa innalzamento, non appena le braccia vengono aperte per accettare ciò che in nessun modo si può pretendere.
Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Accademico Ordinario Pontificio. Website: www.rodolfopapa.it Blog: http://rodolfopapa.blogspot.com e.mail: rodolfo_papa@infinito.it