Appena entri nella nostra casa, davanti a te, trovi un dipinto. È Gesù nel discorso della montagna. Di lato, nella stessa sala, la foto gigante di Andrea, le sue braccia spalancate. È l’ultima foto scattata prima che lui morisse ad Ancona, il 5 agosto del 2009. Quasi un discorso univoco dal re di casa: “Accogliete in voi ogni giorno la beatitudine di Gesù”. Dopo 4 anni circa dalla sua morte, nella nostra casa viviamo ancora di lui. Respiriamo di lui. Con lui abbiamo scelto, per fede e volontà, di essere genitori per sempre. Così come lo è una mamma che, disgraziatamente, abortisce. Sei genitore per sempre. Ma devi scegliere come vivere la tua genitorialità. Per sempre o puoi nasconderla. Puoi offuscarla, rifiutarla o ripudiarla. Sin dalle prime settimane, pur essendo breve la vita di Andrea con noi, ci siamo sempre, come marito e moglie, tenuti per mano. Ma da subito, da quando una diagnosi impietosa si è abbattuta sulla nostra famiglia, ci siamo lasciati prendere per mano dall’Autore della vita.
Mentre il cuore di Andrea faceva “capricci” per la sua grave patologia cardiaca (cuore sinistro ipoplasico), il nostro si metteva in ascolto della volontà del Padre: affidarsi a Lui, fidarsi di Lui e camminare con Lui. E tutto questo cammino si è trasformato, ancora oggi, in serenità e testimonianza. La prima, la serenità del cuore, sorprende noi stessi come genitori: impensabile a viste umane dover attraversare un lutto – il proprio bimbo, neonato – senza rancore, senza maledire, senza dover ricorrere ad assistenza psico-medica. I sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucarestia sono le nostre medicine. I nostri amici e la famiglia de “La Quercia Millenaria” sono stati poi un balsamo di vita. Condividere serenità e dolore, gioia e sacrificio, aiuta non solo noi, ma anche coloro che ci ascoltano. Che ci vivono accanto. Si cresce “portando i pesi gli uni gli altri”. La solidarietà del cuore si traduce in solidarietà di vita. Siamo trepidanti come famiglia di poter condividere a fine giugno, nella 13° Convention Nazionale de “La Quercia”, insieme a tante altre famiglie, la nostra esperienza. E di poter fare solidarietà in un abbraccio verso il dolore altrui, di poter aiutare la resurrezione del cuore da parte di chi è ancora con le ginocchia a terra…
Negli incontri che come coordinatori dell’Abruzzo ci è capitato di organizzare, o dove siamo stati chiamati a testimoniare, l’impatto più forte, l’impressione che si stampa nel volto dei presenti è la sorpresa della serenità. I nostri occhi guardano e indicano un amore che va al di là del visibile; la nostra voce declama le parole della vita, della speranza, dell’accoglienza “senza se e senza ma”. Richiamiamo tutti, credenti e no, ad un amore più grande. Non ci presentiamo come eroi (di cosa, per giunta? di essere sereni che è morto un figlio?), semplicemente ci presentiamo come genitori normali, con tutto il faticoso bagaglio di vita quotidiana, di accuse e errori reciproci fra genitori (un po’ di complicità non guasta mai… anche nei diverbi!), insomma un papà e una mamma che raccontano una storia che non poteva arrestarsi ad una bara bianca che usciva da una chiesa. Ma che doveva viaggiare, in amore e gratitudine, di cuore in cuore: “Il seme caduto in terra porta molto frutto”, se, mi permetto, trova il terreno del cuore disponibile.
Andrea ogni giorno “partecipa” alla nostra vita familiare. I nostri bimbi, Cristiana (8 anni) e Davide (6 anni) lo avvertono qui tra le mura e nelle nostre uscite familiari. Perfino nelle gite. E nelle vacanze. Sbigottimento e sorpresa tra gli insegnanti quando all’inizio della scuola primaria, nel disegnare la propria famiglia, entrambi hanno rappresentato cinque persone. Lui, Andrea, un po’ più in alto, dov’è riservato il posto agli “uomini del Cielo”, al suggeritore delle cose sante. Quando la sera c’è fretta o dimenticanza a letto, sono loro a chiamare noi genitori per la preghiera serale: uno “sguardo d’amore” al Principale ed una richiesta di intercessione al fratellino. Noi li seguiamo mentalmente, non ci introduciamo nelle loro parole. Così pure quelle parole, così semplici e dirette. Ah, se facessimo pregare ogni sera i nostri bimbi, quanti miracoli potrebbero accadere nella nostra società, quante riconciliazioni in famiglie in crisi, quante malattie troverebbero guarigione… ah, se noi prendessimo più a cuore le parole di Gesù: “Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli”!
Pur provato, abbiamo il volto sorridente negli incontri della vita. Quando raccontiamo Andrea, lo raccontiamo con uno slancio d’amore; solo di passaggio, inevitabile, raccontiamo la lacerazione dell’anima e del cuore, insomma di quelle ore nelle quali “si è fatto buio”. Quando entrai nella sua stanzetta, di primo mattino, le 5 circa, lo trovai a braccia spalancate. Immobile. Non mi guardava più come il giorno prima con i suoi occhioni in cerca di sorprese, con quella meraviglia quotidiana che noi adulti, a volte smarriamo nel mondo perché abituati a non stupirci più… La sua vita era stata lacerata, con un rigurgito (pensa un po’…), dalla morte. Entrai in quel “santuario” inginocchiandomi ai suoi piedi. Come dinanzi ad un tabernacolo. Mi era stato tolto, per un disegno misterioso, mio figlio: “Tu conosci il suo bene, Signore… a te affidiamo il nostro cuore…”. Il medico di turno, pudicamente, cercando di trovare le parole più giuste, mi disse: “Sa, a volte neanche noi sappiamo se sia giusto farli vivere nelle loro patologie così gravi. Vedere tanta sofferenza a volte ci mette in crisi”. Senza tentennamenti, era ancora buio, in corridoio, poggiai su di lui la mia mano: “No, dottore. Nessun rimpianto. Voi avete fatto il possibile per la sua vita. E continuate così. I suoi due mesi e mezzo di vita sono a voi necessari per conoscere, sperimentare, trovare nuove vie di vita per altri bimbi con la sua patologia. Dottore, grazie per tutto. Continuate ad essere samaritani”. Lui si girò verso di me: “Grazie per le sue parole, è la prima volta che mi capita di avere un papà con tutta questa forza, tutto ciò ci aiuta a lavorare meglio e con più serenità”. Strumenti noi e loro per aiutare ancora a vivere. A vivere davvero sereni.
C’è solo un momento nel quale il cuore di chi scrive tentenna nella sua tranquillità. Quando i bimbi ci chiedono direttamente, a bruciapelo, magari mentre stai vedendo una partita in tv o stai leggendo un libro, dunque quando ci chiedono di Andrea: “Papi, ma il fratellino in cielo cresce? Un giorno lo incontreremo sulle nuvole?”. E provi a farfugliare: “Certo papà, Andrea cresce. E noi con lui. Anche per noi ci sarà il tempo di riabbracciarlo. E sarà quando anche noi saremo chiamati per essere ancora più felici. Tutti insieme”. Parole per veicolare gioia, parole per sanare il cuore di bimbi sofferenti per il fratellino che non c’è più, parole per sperare… mentre, come adesso mentre scrivo, gli occhi si velano di lacrime. Un figlio è per sempre.
Alessandro Di Matteo è Coordinatore del Ramo Abruzzo de La Quercia Millenaria Onlus
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