È paradossale la storia di Carlo Urbani: il giovane medico italiano fu la prima persona a identificare la Sindrome Respiratoria Acuta Severa - più nota come SARS - per poi morirci lui stesso, dieci anni fa, il 29 marzo 2003, a soli 47 anni.

Grazie alla prontezza del microbiologo marchigiano, il morbo fu presto individuato durante l'epidemia esplosa in Vietnam tra il 2002 e il 2003. Ciò impedì al virus di diffondersi e travolgere il Sud Est asiatico in tutta la sua ferocità. Il numero dei decessi in Vietnam, risultò essere infatti alquanto “contenuto”: circa 775 persone nell'intero Paese. Tra queste, lo stesso Urbani e altri quattro operatori sanitari.

Commentando la grande testimonianza del medico, Kofi Annan, allora segretario generale dell’Onu, affermò: “Non sapremo mai quanti milioni di vite ha salvato”. A dieci anni dalla sua scomparsa anche Papa Francesco lo ha ricordato in un messaggio con cui ha reso grazie a Dio per il bene operato nella cooperazione internazionale, incoraggiando a proseguirne l'opera.

Un'opera fatta non solo di acume scientifico e di amore alla professione, ma anche di umanità, di valori, di tutela della vita altrui. È noto l’impegno di Urbani in associazioni come l’Unitalsi o nei campi di lavoro di “Mani Tese”. O della sua lotta contro le speculazioni del mercato dei farmaci e per la difesa del diritto alla dignità e alla salute.

In una recente intervista per la Radio Vaticana, la madre Maria Concetta Scaglione ha dichiarato: “Tutta la vita di Carlo, fin da bambino, fu improntata alla fede e al servizio del prossimo”. "La sua fu una vita attenta agli altri" ha aggiunto, "c’è stata sempre questa ricerca di vivere con gli altri e per gli altri". Era questo il "sogno" di Carlo, ma "non solo in un senso di abnegazione", ha precisato la signora, ma "perché lui lo sentiva nel cuore, perché così si arricchiva lui; era il suo cuore che gioiva, era la sua disponibilità". 

Il desiderio di Carlo di mettersi al servizio degli altri lo spinse a donare la sua stessa vita. Quando, infatti, dieci anni fa, la Sars dilagava nelle terre asiatiche, di fronte alla possibilità di tornare in Italia, scelse di restare in Vietnam, ponendo a rischio la sua stessa vita. Perché - come amava ripetere agli amici nelle lettere - "lui era un medico nato 'per stare in corsia, in mezzo ai pazienti, non dietro una scrivania", come ha ricordato la giornalista e biografa Lucia Bellaspiga Urbani.

In Vietnam, Carlo partì insieme alla moglie Giuliana e ai suoi tre figli, l'ultima di soli due mesi. "Quando poi ha capito l’entità dell’epidemia ha invitato la moglie Giuliana e i figli a tornare in Italia - ha raccontato la madre -. I ragazzi tornarono, ma Giuliana volle restare vicino a lui fino alla fine". Giuliana ancora oggi prosegue la testimonianza e l'impegno nel volontariato di suo marito, insieme ai cognati e al figlio maggiore Tommaso, che - ha detto Maria Concetta alla Radio Vaticana - "parla testimoniando la sua vita accanto al padre. Aveva 16 anni quando Carlo è passato ad altra vita. Tommaso ne continua a parlare come padre. In casa lo ricordiamo come medico, marito, padre e figlio meraviglioso".

Fin da giovanissimo, Carlo Urbani fu attivo in opere di volontariato, collaborando con diverse organizzazioni cattoliche e impegnandosi nella raccolta dei farmaci per l’Africa, nell’organizzazione di gite estive per disabili o nei viaggi dei malati al Santuario di Loreto. Il primo incarico ufficiale lo ricevette in Medici senza frontiere, l'associazione internazionale di cui poi fu nominato presidente nel 1999, anno in cui vinse anche il Premio Nobel per la Pace. Con i soldi del Premio, Urbani creò un fondo per promuovere una campagna internazionale di accesso ai farmaci essenziali per le popolazioni più povere. 

Inizialmente, Carlo fu assoldato per il controllo delle malattie endemiche parassitarie in Cambogia, in virtù della sua esperienza nel campo delle malattie infettive. Si trasferì quindi con la famiglia nella capitale Phnom Penh nel 1996. Durante i suoi "viaggi sul terreno", insegnò alle popolazioni locali come curare le infezioni ed evitare di contrarre questi tipi di virus. Dopo numerosi spostamenti nei diversi villaggi, nel 2000 raggiunse la sua ultima tappa: il Vietnam.

Il motivo era un nuovo incarico da parte dell'OMS - l'Organizzazione Mondiale della Sanità - che lo impiegò ad Hanoi come consulente per il controllo delle malattie parassitarie nel Pacifico occidentale. La missione sarebbe dovuta durare tre anni e, purtroppo, tre anni durò, fino allo scoppio dell'epidemia di SARS e alla morte prematura.

Un mese prima del decesso, venne ricoverato nell'ospedale di Hanoi un uomo d’affari di Hong Kong colpito da una polmonite atipica. "Non sarebbe stato suo compito andare in un ospedale" afferma Lucia Bellaspiga, "ma quando i colleghi lo chiamarono non si tirò indietro". L'esperienza e l'intuito permisero al medico di accorgersi che si trattava di una nuova malattia. Una malattia a dir poco grave. Tanto che lanciò subito un allarme al governo vietnamita e all'OMS, con cui, dopo diverse ritrosie, riuscì a far attivare misure di quarantena dalle autorità locali. 

I primi di marzo, durante un volo verso Bangkok, Carlo venne assalito da una febbre altissima. Scoprì di essere anch'egli vittima dell’epidemia, e all'atterraggio chiese di essere immediatamente messo in quarantena. Nonostante salvò milioni di vite, non riuscì a salvare la sua: morì il 29 marzo lasciando la moglie e i tre figli.

Grazie alla sua professionalità, il Vietnam è stato il primo paese a poter dichiarare la SARS debellata. Nel maggio 2003, il ministro vietnamita della Sanità, Tran Thi Trung Chien, ha consegnato la Medaglia per la Sanità del popolo e la Medaglia dell'Ordine dell'amicizia alla memoria del medico italiano. E anche in Italia, su proposta del Ministro della Salute, fu consegnata alla sua memoria la Medaglia d'oro per i benemeriti della Sanità Pubblica (7 aprile 2003). Ancora oggi, secondo l'OMS, il metodo anti-pandemie improntato da Urbani nel 2003 rappresenta un protocollo internazionale per combattere le malattie infettive.