"Lui e l'aborto. Viaggio nel cuore maschile" (Terza e ultima parte)

Intervista con Antonello Vanni, autore del volume edito da San Paolo Ed.

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Esistono modalità di tipo psicoterapeutico specifiche per curare il trauma post abortivo maschile?

Antonello Vanni: In Italia, reti specifiche di supporto psicologico sono assenti, come lo è del resto lo stesso riconoscimento del problema. In altri Paesi, invece, esistono diversi modelli terapeutici, apprezzabili anche per la loro semplicità, applicabilità e efficacia. Tra gli altri ricordo le forme di auto e mutuo-aiuto, utili per gli uomini che intendono trovare da soli una strada per stare meglio, o per chi (sacerdoti, mentori, associazioni) desidera costruire e proporre attivamente progetti di accompagnamento emotivo e spirituale. Oppure la proposta di elaborazione del lutto e di riconciliazione offerta dall’apostolato “La Vigna di Rachele”, da tempo aperta anche agli uomini e ai mariti, l’unica fortunatamente presente anche in Italia (vedi http://www.vignadirachele.org/uomini/uomini.html). Esistono poi, specialmente negli USA, percorsi più strettamente psicologici che richiedono, da parte di chi vi opera, specifiche competenze professionali in ambito medico. Tutti questi modelli comunque, pur diversi nella loro articolazione, propongono il superamento del trauma dovuto all’aborto attraverso la stessa condizione: la capacità di perdonarsi, di perdonare e di sentirsi perdonati dal Padre. Come si può capire questi supporti si sono sviluppati nell’ambito religioso cristiano, attento alla cura dell’altro e aperto alla riflessioni più approfondite sulla vita umana. A dire la verità il riconoscimento del dolore maschile causato dall’aborto e la proposta di percorsi specifici di guarigione si stanno diffondendo finalmente anche in Europa. Austria, Germania, Serbia e Svizzera sono infatti i primi Paesi che hanno offerto una sede all’associazione cattolica SaveOne www.saveoneeurope.org , istituita da Sheila Harper, esperta di counseling che ha vissuto in prima persona e poi raccontato il dramma dell’aborto. Inizialmente destinato alle donne, l’impegno dell’associazione si è poi rivolto anche agli uomini con pubblicazioni sul trauma post abortivo maschile (cfr. Sheila Harper, SaveOne. The Men’s Studies, SaveOne Publ., 2003) e ottimi opuscoli sul tema, destinati agli uomini e scaricabili in internet (http://www.saveoneeurope.org/en/PDF-download-1.htm ).

Di tutto questo quindi in Italia non se ne sa molto…

Antonello Vanni:Come ha fatto notare Claudio Risé nella Prefazione al mio libro (che si può leggere in http://claudiorise.wordpress.com/2013/05/26/lui-e-laborto-di-antonello-vanni-prefazione/), il tabù posto sulla relazione tra i padri e i figli abortiti, in omaggio al principio stabilito ideologicamente secondo il quale “l’aborto riguarda solo le donne”, ha impedito studi, ricerche e quindi la raccolta di dati su questo argomento. Non è un caso infatti se ho dovuto attingere alla ricerca scientifica internazionale, molto più sensibile nel rilevare queste problematiche così come nell’affrontarle dal punto vista psicoterapeutico per curarle. Va però detto che, da qualche tempo, l’opinione pubblica italiana ne sta prendendo maggiore coscienza. E questo grazie al contributo di una parte del mondo maschile che, lungi dall’accettare la passività tipica del mondo occidentale senza padre, e in un’ottica di riappropriazione di un’autentica identità maschile, ha avviato un’opera di sensibilizzazione destinata ad informare gli uomini che hanno vissuto l’aborto sulla realtà del trauma post abortivo maschile. È il caso, ad esempio, dell’associazione culturale “Maschi Selvatici” che ha pubblicato l’opuscolo “Hai perso tuo figlio per l’aborto? Uomini e aborto. La verità che nessuno ti dice” (scaricabile in vari formati in http://www.maschiselvatici.it/index.php?option=com_content&view=article&id=937:hai-perso-tuo-figlio-per-laborto&catid=107:aborto-nel-cuore-del-maschio). Questo opuscolo da un lato informa gli uomini sulla natura del trauma postabortivo maschile, dall’altro indica alcune vie che i maschi sofferenti possono seguire per curarsi, riconciliarsi con se stessi e il mondo dopo un evento tanto terribile quale la morte del proprio figlio mediante l’aborto.

E’ possibile menzionare altre iniziative italiane che riguardino il tema “l’uomo e l’aborto”?

Antonello Vanni: Di enorme importanza, data la sua portata culturale, è il Documento per il padre: pubblicato nel 2001 da un gruppo di docenti universitari, scienziati, giornalisti e professionisti. Si tratta di una proposta di modifica dell’atteggiamento verso il padre nella cultura corrente e nelle norme di legge con la richiesta di una revisione della legge 194/78 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza) con l’obiettivo di dare maggior riconoscimento e aiuto al padre desideroso di veder vivere il proprio figlio concepito, laddove si intenda ricorrere all’aborto, e disposto ad assumersi ogni responsabilità e onere di fronte al concepito e alla madre. Chi volesse conoscere questo documento, tra l’altro sottoscritto anche da numerose donne, può andare nel sito di Claudio Risé www.claudio-rise.it (sezione Per il padre). È possibile anche inviare la propria adesione con una e-mail a redazione@claudio-rise.it

Ma ti risulta che un uomo sia mai riuscito a salvare il proprio figlio destinato all’aborto?

Antonello Vanni: Sì, è accaduto in diverse occasioni, e anche in Italia, come ho raccontato nel mio libro. Il caso che mi ha colpito di più però è stato quello inglese di Robert Carver, uno studente di Oxford. Il giovane venne a sapere che la sua ragazza, incinta da 21 settimane, voleva abortire. Lui però voleva che il figlio vivesse. Portò la sua richiesta prima davanti all’Alta Corte di Giustizia, poi alla Corte d’Appello: entrambe non lo ascoltarono e accantonarono il caso. Il giovane non si diede pace e raggiunse l’attenzione della Camera dei Lords: il processo, che finì ancora con esito negativo, durò solo 36 ore, uno dei casi più veloci della storia legale inglese, forse per la pressione delle autorità sanitarie che si rifiutavano di effettuare l’aborto prima che venisse presa una decisione.

Respinto da tutte le corti, Carver ottenne però una grande attenzione dei media e dell’opinione pubblica, vincendo un’ingiunzione contro l’aborto della donna sulla base dell’Infant Life Preservation Act del 1929. Questo documento di difesa della vita, varato dal Parlamento inglese per arginare la deriva eugenetica diffusa dal nazismo in Europa, puniva l’uccisione del bambino anche se non ancora nato ma “in grado di nascere vivo”. La ragazza, per ragioni non note, non abortì e nel gennaio 1988 Carver comparve con la bambina di sette mesi, a lui affidata dalla madre, su tutti i principali giornali inglesi.

‘Come fece Carver a salvare la figlia? Secondo i giornalisti la sua vittoria, certo simbolica e non legale, dipese dal fatto che non si limitò a sollevare i suoi diritti di padre, ma oppose all’aborto il diritto alla vita del concepito: sulla base dell’Infant Life Preservation Act: dimostrò infatti che quel feto di 21 settimane era già un essere umano, che era un bambino “in grado di nascere vivo” purché nessuno lo uccidesse.

Subito dopo la vicenda gli scudi abortisti inglesi si alzarono e nessun bambino poté più essere s
alvato da un padre. Robert Carver e la sua bambina aprirono però una crepa, almeno momentanea, nel muro delle leggi abortiste. Questa vicenda mi ha impressionato perché, a leggerla bene, Carver ci lascia un grande insegnamento: l’aborto, usando gli strumenti umani giusti, può essere sconfitto. 

Una domanda per terminare la nostra intervista: per chi hai scritto “Lui e l’aborto. Viaggio nel cuore maschile”?

Antonello Vanni: Questo libro ha diversi destinatari. Innanzitutto gli uomini: affinché diventino consapevoli della loro importanza nel dare la vita, e sviluppino un sentimento della paternità più maturo e responsabile. Poi le donne: perché capiscano quanto sia importante coinvolgere gli uomini in una decisione che può modificare il valore della loro relazione, oltre a determinare che la vita di un altro essere umano indifeso e totalmente dipendente dalle loro scelte. Questo libro poi è per chi, a diverso titolo (consultori, CAV,…), si occupa delle coppie che aspettano un figlio e sono indecise se tenerlo o no: interpellare la figura maschile, tralasciando i pregiudizi da cui è stata investita in mezzo secolo di campagne abortiste, può essere uno strumento efficace per salvare il bambino. Tante volte la coppia decide di abortire perché l’uomo ha perso il lavoro e si teme di non poter affrontare il futuro dal punto di vista economico, eppure ho riportato casi in cui gli operatori dei CAV hanno aiutato i padri a trovare un’occupazione e i bambini sono stati felicemente accolti. Questo libro del resto è proprio per loro, per tutti i bambini che prima di nascere rischiano “di cadere nel nulla”, come diceva il filosofo Hans Jonas: auguro loro di venire al mondo, grazie a padri e madri finalmente amorevoli, orgogliosi di dire sì alla vita. Ringrazio te e il Movimento per la Vita italiano per l’attenzione che avete dato a questo tema e vi auguro di continuare con crescente soddisfazione la vostra opera ineguagliabile in favore della vita nascente. 

(La seconda parte è stata pubblicata ieri, lunedì 10 giugno)

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Elisabetta Pittino

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