Kiko Arguello a Livorno: "Se Dio ti chiama, congratulations!"

Oltre 10.000 giovani e famiglie ieri nel Palasport del capoluogo toscano provenienti dall’Italia e dall’estero. Circa 90 le ragazze “alzate” per partire in missione in Cina

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A volte si dimentica che Kiko Arguello ha 74 anni. Un’età in cui si tende, di norma, a concludere un ciclo della propria vita e ad iniziarne un altro fatto di ricordi e riposo. Lui invece ieri pomeriggio era a Livorno, reduce dai continui spostamenti tra Spagna, Austria e Italia, pronto a gridare l’amore del Signore davanti a più di 10.000 giovani riuniti nel Palamodì. 

Perché “la cosa più grande che posso fare è annunziare il kerygma” ha detto. Non si può stare fermi allora, a fare “i cristiani da salotto” come dice Papa Francesco, ma bisogna andare ovunque a portare questa buona notizia “che salva gli uomini e il mondo”. Soprattutto in una città “secolarizzata” come Livorno, ha dichiarato a ZENIT il vescovo mons. Simone Giusti. Una città “paradossale” ha detto, dove “il 35% dei bambini non è battezzato e si registra una percentuale molto alta di funerali e matrimoni civili”. Ma che al tempo stesso “è una città che, seppur lontana dalle parrocchie, ha un grande senso religioso”.

“Occorre pertanto quello che gli ultimi Papi hanno chiamato nuova Evangelizzazione” ha aggiunto; dunque, “una predicazione come quella di Kiko è necessaria a Livorno, come negli anni ’60 nelle periferie di Madrid”. Il Cammino Neocatecumenale, ha affermato il presule, “è infatti un dono grande del Concilio per far sì che le persone riscoprano il Signore. E mi sembra che i frutti ci siano”.

Il clima, ieri pomeriggio, non è stato d’aiuto. Una pioggia ininterrotta ha messo in difficoltà il percorso dei pullman provenienti non solo dalla Toscana, ma anche da Lazio, Piemonte, Triveneto, Umbria, Liguria e addirittura Sardegna, Svizzera e Francia. Il diluvio non ha impedito, però, che i giovani neocatecumenali si riversassero in città già dal mattino a cantare e danzare, attirando l’attenzione dei cittadini.

Qualcuno li definisce “euforici”, eppure non si può negare che ci sia lo Spirito Santo di mezzo quando si assiste a scene come quella della distribuzione degli oltre 150 rosari per pregare per le missio ad gentes in Francia e Olanda, in cui file incontenibili di ragazzi e ragazze (alcuni sotto i 15 anni) quasi si spintonavano pur di prendere una coroncina. O la corsa sul palco al momento delle “alzate” dei 64 ragazzi che hanno voluto rispondere alla chiamata al seminario e delle 90 ragazze pronte a partire in missione in Cina. (“Per la prima volta nella storia, le donne hanno ‘battuto’ i maschi” ha esclamato Kiko).

Per non parlare dei frutti delle Missioni in 10.000 piazze di tutto il mondo, dovuti proprio a giovani pronti a spendere la domenica per regalare ai passanti l’esperienza del loro incontro con Dio. “Facendo una media di quattro persone per ogni piazza, sono almeno 40.000 i lontani che si sono riavvicinati alla Chiesa” ha affermato Kiko. Veri “miracoli e prodigi” che “Papa Francesco ha apprezzato molto”, quando, incontrando gli iniziatori del Cammino a Santa Marta il 18 maggio, ha visto alcune foto delle missioni. “Il Santo Padre – ha raccontato Kiko – mi ha raccomandato: Dopo questi frutti, ora sta attento ai colpi di coda del demonio”.

Come nelle piazze, anche nel Palasport si respirava un’aria di festa. Prima dell’arrivo di Kiko, è partita una Ola che ha coinvolto tutti gli spalti, seguita da canti e applausi. Un clima forse un po’ troppo da stadio, per un incontro principalmente di preghiera. Ma Arguello l’ha riportato subito nella giusta dimensione dopo l’invocazione allo Spirito Santo e la lettura della Lettera ai Corinzi in cui San Paolo esorta ad essere “ambasciatori di Cristo”.

La processione con la Vergine è stata poi un momento di grande intensità. Preceduti dalla croce astile in oro, i seminaristi dei Redemptoris Mater di Firenze, Trieste, Lugano e Pinerolo hanno trasportato l’effigie della Madonna di Montenero, patrona della Toscana, mentre Kiko e tutti i presenti cantavano “Vittoria, vita eterna in Cristo Risorto”.

È seguito poi l’annuncio del kerygma. “Non siamo qui a fare uno show” ha esordito Kiko, ma a “dire che qui, a Livorno, alle 18, è arrivata la salvezza, il momento favorevole”. Perché “il kerygma annunzia un atto: che il Signore che conosce te, i tuoi problemi e le tue sofferenze, per questo ha inviato Suo Figlio a soffrire la morte, affinché diventassimo uno con Lui, primogeniti di una nuova creazione”.

Il problema è avere “l’orecchio chiuso” per accogliere questa notizia. In quel caso, ha avvertito Kiko, si rompe la relazione tra uomo e Dio e si dà ascolto alla ‘contro-catechesi’ del demonio che “vuole convincerti che Dio ti castra, ti limita e che devi essere autonomo, cercando da solo la tua felicità”.

Questo porta “all’inferno del non essere”, al non sentirsi amato, e genera la morte. “È come essere abbandonato negli spazi siderali” ha affermato Arguello, in un “abisso di sofferenza” che spinge a gesti tragici “come l’omicidio della diciassettenne pugnalata e bruciata viva dal fidanzato”. “Dio permette questo – ha detto Kiko – perché dona la libertà all’uomo anche di peccare, in modo da fargli capire che non è un burattino nelle Sue mani”. Soprattutto Dio – ha soggiunto l’iniziatore del Cammino Neocatecumenale – ha “inviato il Suo unico Figlio, Lo ha risuscitato come garanzia che il peccato è perdonato”. E di fronte a questo kerygma “dobbiamo dire si o no come Maria”.

Lo stesso annuncio è stato ribadito da mons. Giusti. Con un accento marcatamente toscano, il vescovo ha fatto sorridere e commuovere parlando dei miracoli, di quei fatti, cioè, che dimostrano che “il Vangelo non è una bella speranza, ma vita che cambia”. “Cosa ha permesso che il cristianesimo si diffondesse ovunque, con la predicazione di un traditore come Pietro e un persecutore come Paolo?” si è chiesto il presule: credere in quei miracoli “che Cristo ha compiuto” e che vanno oltre quell’“idolo della morte che appare onnipotente”.

“Noi ci sentiamo condannati a morte”, per cui diciamo:“Tanto se devo morire, mando ‘affantasca la mi’ moglie, la mi’ famiglia e arraffo quel che succede…’” ha detto il vescovo. Ma “la morte è vinta” ha esclamato: “Giovanni Paolo II, da quella lastra di marmo nelle grotte vaticane, e tutti gli altri Santi, hanno dovuto dimostrare ciò attraverso grazie, più di mille bambini nati…”. La morte, però, ha precisato mons. Giusti, “la vince chi sa amare”: l’amore “tiene in vita anche le persone care defunte”. E quando “Dio chiama qualcuno – ha concluso il vescovo – è perché vuole che si disseti alla sorgente eterna dell’amore”.

Vale la pena quindi spendere la propria vita per Dio: “Egli è fedele sempre – ha assicurato Giusti – moglie e marito possono fare qualsiasi cosa, con Dio invece si può essere una ‘coppietta’ sempre felice e sempre innamorata”. Sarà per questo che Kiko ad ogni incontro vocazionale ripete: “Se Dio ti chiama, Congratulations!”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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