La resurrezione del figlio della vedova

L’episodio mostra la vera identità di Dio, il suo volto pieno di vero amore per tutti noi

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La resurrezione del figlio della vedova di Nain, narrato dall’evangelista Luca, è un episodio che viene a risvegliare la nostra fede nella misericordia di Dio, mostrandoci la vera identità di Dio, il suo volto pieno di vero amore per tutti noi.

Due processioni sono al centro di questa scena evangelica proposta da Luca. Da una parte assistiamo alla processione dei discepoli e della folla che segue piena di entusiasmo Gesù. Dall’altra parte troviamo un corteo funebre degli  abitanti della città di Nain, che si accingono a compiere il pietoso rito della sepoltura di questo figlio unico di donna vedova.

La drammaticità di questa situazione è racchiusa proprio nelle parole “figlio unico di madre vedova” (Lc 7,12). Questa donna è rimasta dapprima vedova, soffrendo per la perdita dell’affetto e della sussistenza economica di suo marito. Ora venendo a mancare il suo unico figlio, viene privata della sua missione di madre.

E’ vero che molti abitanti della città di Nain manifestano la loro vicinanza in questo momento così doloroso della vita di questa donna, ma ella soffre terribilmente per questa perdita, avverte nel suo intimo una profonda tristezza e una incolmabile solitudine. Questo dolore diventa preghiera silenziosa per questa donna. La preghiera dei sofferenti viene sempre ascoltata da Gesù, l’unico che può colmare l’abisso di sofferenza nel cuore di quella donna.

Gesù osserva tutta la scena da vicino, guarda la folla, guarda il figlio morto, ma il suo sguardo di compassione è verso la donna. A questo punto Gesù rivolge alla donna l’invito di non piangere. Queste parole potrebbero sembrare quasi prive di senso se non venissero associate al gesto che Gesù sta per compiere. “E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!» (Lc 7, 14).

Quelle parole così brevi, “Giovinetto, dico a te, alzati” sono un comando perentorio al quale nessuno può sottrarsi, nemmeno un morto. Questo perché, chi comanda è Dio in persona. Questa è la novità assoluta di questo episodio rispetto agli eventi prodigiosi di resurrezione operati dai profeti dell’Antico Testamento. I profeti, prima di Gesù, hanno operato il prodigio della resurrezione attraverso una invocazione fatta in nome di Dio. Ora, invece, quel nome di Dio viene sostituito con l’“io” nella preghiera di Gesù. L’intenzione dell’evangelista è quella di annunziare la messianicità di Gesù che non ha più bisogno di chiedere nel nome di Dio, perché Egli stesso è Dio.

Quanto sono significativi i primi gesti compiuti dal giovinetto dopo il suo ritorno alla vita. “Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre.” (Lc 7, 15). Egli si siede sopra la morte per indicare che è vittorioso sulla morte per mezzo della parola e del gesto di Gesù. Non è possibile scioglierci da soli dalle catene della morte, solo Gesù è colui che ha il potere di ridonare la vita e restituire la  possibilità di parlare, di avere relazioni.

E qui non si sta parlando solo della morte fisica, ma anche di quella spirituale. Il tacere sempre, non avere una parola di luce sulla propria vita, è una situazione di morte. Solo quando siamo raggiunti dal raggio di luce di un cristiano fervente, quando partecipiamo con fede ai sacramenti della comunione e della confessione, allora siamo presi per mano e ci troviamo nuovamente vivi, di fronte al nostro Signore Gesù Cristo.

Gesù restituisce il giovinetto nuovamente vivo alla madre. Da quel momento in poi la madre è chiamata ad avere una nuova relazione di amore con questo figlio, perché l’Amore di Dio incarnato ha operato la restituzione di questo figlio.

Quante madri sono passate da tante sofferenze per la malattia fisica o spirituale del proprio figlio, e dopo aver implorato e supplicato Gesù di riaverlo vivo, lo hanno riavuto risanato da quel vizio o da quella malattia. Queste donne hanno ricevuto il grande dono di diventare testimoni di una nuova maternità, diversa dalla precedente. Queste mamme sono diventate più consapevoli dell’origine divina della vita dei propri figli. Una maternità basata non più sul possesso, sul soddisfare la propria affettività, ma una nuova forma di maternità, basata sul vivere una relazione di amore e di donazione totale all’altro.

La conclusione di questa vicenda è sorprendente, perché le due folle, quella dei discepoli di Cristo e quella del corteo funerario, si trovano insieme a lodare Dio per il segno prodigioso di cui sono stati testimoni. “Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo».” (Lc 7, 16). Gesù Cristo ha il potere di riunire nella lode popoli diversi. Quello che unisce profondamente è la vittoria di Cristo sul male e sulla morte. L’essere testimoni dell’amore di Dio, riconosciuto come il centro della propria vita, è la vera forza trainante che unisce persone di diversa provenienza.

“La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione.” (Lc 7,17). Nain si trova in Galilea, non distante da Nazareth, ma viene fatto riferimento alla Giudea intesa come la Palestina. Ma la fama di questi miracoli supera i confini della terra santa ed arriva nella regione dei pagani. L’amore misericordioso di Dio non ha confini, giunge al di fuori del popolo che lo attendeva da secoli, arriva anche a coloro che nutrivano da sempre, forse in maniera inconsapevole, il desiderio di conoscerlo per poter essere amati e a sua volta amarLo.

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Osvaldo Rinaldi

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