Chum Reab Sour. Buonasera. Ha esordito con il tradizionale salutokhmer, accompagnato da un sorriso,Claire Ly, l’esule cambogiana giunta al Festival Biblico per testimoniare il cammino umano e spirituale che l’ha portata, negli anni, alla conversione dal buddismo al cristianesimo.
Un racconto drammatico il suo, ma allo stesso tempo particolare, che ha rapito il salone nobile del Palazzo delle Opere Sociali, pieno per l’occasione: la storia di un calvario che approda alla follia di un Amore impensato, quello per il “Dio degli occidentali”. Le parole di Claire Ly hanno riportato tutto l’uditorio a quei terribili quattro anni di morte e inferno che hanno caratterizzato la storia della Cambogia dal 1975 al 1979: 2 milioni di morti celati in 20.000 fosse comuni, centinaia di campi di lavoro in cui i sopravvissuti venivano sottoposti a violenze fisiche e psicologiche. In quell’inferno Claire Ly è sopravvissuta. Con un bambino in pancia e un altro a seguito, dopo aver visto però fucilare la sua famiglia.
“Negli anni di prigionia ho passato il tempo ad insultare il Dio degli Occidentali che ai miei occhi, rappresentando il capitalismo, era colpevole della guerra fratricida che aveva acceso l’inferno in Cambogia”, racconta Claire Ly. “Verso di lui ho concentrato tutto il mio odio finchè un giorno, nel 1977, per la prima volta ho provato a parlargli. Gli ho chiesto di farmi un applauso, perchè ero riuscita a sopravvivere a tutte le difficoltà della vita. A quel punto mi ha risposto il silenzio. Ma ho percepito questa mancanza di suono come un silenzio abitato. Ho come sentito che, nel Male, Dio si è fatto presenza per me, quella volta, per la prima volta”.
Nel 1980 Claire Ly riesce a raggiungere la Francia come esule politico e comincia una seconda vita, da immigrata, immersa in uno stato di conoscenza straniero, alterato, deteriorato. In questo contesto studia la filosofia francese e conosce il Vangelo. Nel suo percorso di vita si innesta una conversione, germogliata spontaneamente e maturata nel Paese che l’ha accolta e adottata pur nelle difficoltà, nel pregiudizio.
“Un giorno mi è capitata tra le mani l’enciclica di Giovanni Paolo II sulla misericordia e l’insegnante di filosofia che è in me si è risvegliata. Ho letto il Vangelo per un anno e poi ho fatto quello che definirei un incontro eucaristico, nel corso di una Messa a cui ho partecipato per curiosità. Quando il parroco ha alzato l’ostia ho avuto la sensazione che il Dio di Gesù Cristo fosse lì in ginocchio. Gesù mi ha sedotto e mi ha dato il coraggio di essere me stessa. Perchè nel Vangelo è scritto che anche Gesù era un esule: che venne tra la sua gente ma non fu accolto. La cosa che mi ha attratto di Gesù è stata la sua grande libertà che né il potere, né la famiglia, né i proseliti hanno mai potuto togliergli: ha preso la forma di Uomo prendendosi carico del suo significato fino in fondo, fino alla morte. Quale impegno più grande per un uomo”, ha concluso Claire Ly, “se non quello di essere fedele a se stesso fino alla morte? E quindi, essere fedeli alla vita fino alla morte?”.
A guidare in conversazione la giornalista del PIME Anna Pozzi che ha partecipato alla traduzione dell’ultimo libro di Claire Ly per le Edizioni Paoline “La mangrovia”.