"Chiamati a prenderci cura dei fratelli"

Omelia del cardinale Scola nella Messa di ordinazione di 19 nuovi sacerdoti

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Riprendiamo l’omelia tenuta questa mattina in Duomo dal cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, nella Messa di ordinazione di 19 nuovi sacerdoti ambrosiani. 

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Ordinazioni presbiterali

Os 11,1-4; Sal 21 (22); Eb 2,9-18; Gv 10,11-18

1. «Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare» (Lettura, Os 11,4). L’oracolo del profeta Osea, carissimi fratelli, ci introduce nel mistero sacramentale che ci vede oggi convenuti, così numerosi, nel nostro Duomo. Siamo giunti, infatti, da diverse parti della Diocesi, dalle nostre comunità parrocchiali, dalle associazioni e dai movimenti ecclesiali, per partecipare all’ordinazione presbiterale di questi giovani, che oggi la Chiesa elegge come presbiteri. Le parole profetiche ci conducono al cuore di questa solenne celebrazione. Esse indicano nell’amore, e precisamente nell’amore paterno, la causa dell’elezione di Israele e, poi, della Chiesa. Anche se il popolo si allontana e non comprende, Dio non cessa «con vincoli di amore» di sollevarlo come si solleva un bimbo alla guancia.

Carissimi ordinandi, nulla, ma proprio nulla dell’essenza del sacerdozio ordinato che state per ricevere risulterebbe comprensibile e soprattutto convincente se non costituisse una concreta manifestazione di questo «chinarsi di Dio nostro Padre su ciascuno di noi per darci da mangiare» (Cfr Lettura, Os 11,4). Non fatevi illusioni: qualunque azione priva di questo amore tenero e oblativo non raggiungerà il suo scopo. Infatti i pastori, nella Chiesa, esistono perché tutto il popolo cristiano possa contemplare l’amore fedele del Buon Pastore lungo le strade, non di rado travagliate, dell’esistenza.

2. Per meglio avvicinarci a questo mistero di misericordia, la Liturgiadella Parola dell’odierna celebrazione ci mostra come il Figlio di Dio, fattosi carne per noi, si è piegato sulla nostra miseria, l’ha presa su di Sé e l’ha redenta.

«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore» (Vangelo, Gv 10, 11). Sono parole di una chiarezza semplice e sconvolgente. La bontà del pastore passa dal Suo sangue e dalla Sua carne, cioè dalla Sua vita offerta per la redenzione degli uomini. Tante volte avete, abbiamo, inteso queste parole. Dio non voglia che abbiano perso la loro portata provocante. Se così fosse, il sacramento che state per ricevere ci scuota facendo rientrare voi e noi, qui ed ora, in noi stessi per ritrovare il volto amante del Padre Pastore. Ed il Buon Pastore ci accompagni al dono totale della nostra vita.

La Letteraagli Ebrei approfondisce per noi, che spesso lasciamo il Signore alla periferia delle nostre giornate, la ragione umanamente convincente per rispondere a tanto amore con il nostro stentato amore. I Figlio di Dio ha scelto di avere in comune con noi uomini il sangue e la carne. La Sua misericordia ha espiato il nostro peccato, ci ha liberato dal timore della morte e dal potere del diavolo che ci teneva in schiavitù (cfr. Epistola, Eb 2,9-18 passim).

Come sacerdoti siamo chiamati a prenderci cura dei fratelli esercitando il ministero secondo tutta questa ampiezza e spessore. La Chiesa, nostra madre, è ben consapevole che nessuno dei suoi ministri può dare la propria vita se non si riconosce chiamato, per grazia, ad essere fratello dei suoi fratelli al modo di Cristo Gesù. L’immanenza concreta al popolo di Dio ponendo Gesù Cristo al centro è la condizione della consegna della propria vita, cioè della sequela del Buon Pastore. Lo insegna con efficacia il decreto Presbyterorum Ordinis del concilio Vaticano II: «I sacerdoti del Nuovo Testamento, anche se in virtù del sacramento dell’ordine svolgono la funzione eccelsa e insopprimibile di padre e di maestro nel popolo di Dio e per il popolo di Dio, sono tuttavia discepoli del Signore, come gli altri fedeli, chiamati alla partecipazione del suo regno per la grazia di Dio. In mezzo a tutti coloro che sono stati rigenerati con le acque del battesimo, i presbiteri sono fratelli, membra dello stesso e unico corpo di Cristo, la cui edificazione è compito di tutti» (PO 9).

3. Tra poco la liturgia farà dialogare il Vescovo egli ordinandi perché esprimano pubblicamente la loro libera scelta. Prestiamo attenzione alla loro risposta: «Sì, lo voglio». Per cinque volte lo ripeteranno, aggiungendo, nell’ultimo scambio, le parole: «Con l’aiuto di Dio». Personalmente avverto in questo dialogo una eco di quello assai celebre del Risorto con Pietro. In quell’occasione, a colui che aveva tradito tre volte, per tre volte viene chiesta una confessione di amore: «Signore, tu conosci tutto», risponde Pietro. Affermare: «Sì, con l’aiuto di Dio, lo voglio», non è un impegno puramente formale, ma una scelta di amore. Siate consapevoli però che questo amore è solo risposta a Gesù che, a Sua volta, rispose al comando di amore del Padre: «Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso» (Gv 10,17-18).

La libera volontà amante di seguire il Buon Pastore è chiamata a rinnovarsi in noi ogni giorno nell’esercizio del ministero presbiterale: nel suo essere per sempre – consapevole che la fedeltà è il nome proprio dell’amore –, nell’annuncio del Vangelo e nell’insegnamento della fede cattolica in tutti i suoi contenuti, nella celebrazione sacramentale, in particolar modo della Santa Messa e del sacramento della riconciliazione, nella preghiera assidua e nella testimonianza della grazia del celibato – la stessa modalità di amare che fu propria di Cristo lungola Sua vita terrena – e nell’obbedienza al mandato del Vescovo.

4. L’orizzonte del ministero e della vita presbiterale che oggi si spalanca davanti a voi, per il bene della Chiesa, non è altro che il mondo intero: «Ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare» (Vangelo, Gv 10,16). La Chiesa ambrosiana vuol impegnarsi, a partire dal prossimo anno pastorale, in una decisa comunicazione di Gesù Cristo come Evangelo dell’umano, cioè come la buona notizia rivolta a tutto l’uomo e a tutti gli uomini. Parrocchie, unità e comunità pastorali, associazioni e movimenti, decanati, zone pastorali sono chiamati a riscoprire tutto il peso delle parole di Gesù: «Il campo è il mondo» (Mt 13,38). Il mondo è il luogo della vita delle persone e delle loro relazioni. È costituito da tutti gli ambienti dell’esistenza quotidiana degli uomini e delle donne: famiglie, quartieri, scuole, università, lavoro in tutte le sue forme, modalità di riposo e di festa, luoghi di sofferenza, di fragilità, di emarginazione, ambiti di edificazione culturale, economica e politica… in sintesi, il mondo è la società civile in tutte le sue manifestazioni.

Carissimi, la prima destinazione vi raggiunge in questo tempo storico nel quale Papa Francesco ci ha fatto ripetutamente notare: «Quando la Chiesa diventa chiusa, si ammala, si ammala (…) La Chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire. Gesù ci dice: “Andate per tutto il mondo! Andate! Predicate! Date testimonianza del Vangelo!” (cfr Mc 16,15)» (Veglia di Pentecoste, 18 maggio 2013). Insieme a tutto il presbiterio e a tutti i fedeli vogliamo avere a cuore questa preziosa sollecitazione.

5. La nostra preghiera unanime questa mattina è ben riassunta dall’Orazione di inizio dell’Assemblea Liturgica: «Concedi a questi diaconi eletti al ministero presbiterale (…) di perseverare nel servizio della tua
volontà, perché nella vita e nella missione pastorale cerchino unicamente la tua gloria
».La Sua, non la nostra gloria! Questa, carissimi è, nello stesso tempo, la strada del compimento delle vostre persone e della salvezza del mondo. Questa è la strada che hanno percorso i nostri grandi padri nella fede: Ambrogio, Carlo e la lunga schiera di santi vescovi e sacerdoti ambrosiani che ci hanno preceduto e generato alla fede.

Su questa strada non siete e non sarete soli. Vi custodisce il popolo cristiano.

La Vergine santissima che oggi, dall’alto del Duomo, vi guarda con speciale affetto vi conservi uomini che si nutrono di comunione con Nostro Signore, con i battezzati e con ogni nostro fratello uomo. Amen.

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ZENIT Staff

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