La sofferta gloria della quotidianità

L’umanità di Cristo ci ha ricondotti al Cielo

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

La Liturgia ripercorre e propone ai credenti, ogni anno, le tappe di una vicenda straordinaria: la storia dell’amore di Dio per noi, una corrente inarrestabile di carità, di attenzione, di “condiscendenza” e di tenerissima passione, che manifesta il desiderio del Cielo di dialogare con l’uomo, di entrare in comunione profonda con lui. Le tappe di questo cammino costituiscono il patrimonio della nostra Fede e ci introducono nel mistero della Salvezza, che in Cristo trova la sua pienezza e il suo compimento. Attraverso il racconto dei Vangeli, siamo condotti a conoscere Gesù, la sua vita e la sua predicazione, i suoi miracoli, la Croce e la Risurrezione. Entriamo nella “compagnia” dei suoi discepoli, chiamati dal Signore lungo le rive del mare di Genesaret o per le vie della Palestina, strappati dal loro mondo e dalle loro occupazioni per seguire quel “Rabbi”, che affascinava per i suoi gesti e per la sua parola. Attratti dalla sua persona, essi lasciarono ogni cosa, per consacrarsi totalmente a Lui e alla causa del Vangelo.

La riflessione teologica ha riassunto mirabilmente il mistero del Verbo in tre successivi “momenti”: la sua esistenza nella eternità (Deus solus); il mistero della Incarnazione, nella persona del Cristo, “vero Dio e vero Uomo” (Deus et homo”); e, infine, il “Christus totus”, il Risorto, il Capo, unito per sempre a noi, nel “Cristo totale”, nel Corpo Mistico.

Non si tratta di una teoria né di una astratta e arida sintesi ideologica, ma di una realtà viva, che ci riguarda da vicino, che interessa la nostra esistenza, che si intreccia con il nostro presente e rimanda al nostro destino. Gesù Risorto “…non si è separato dalla nostra condizione umana, ma ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena fiducia che dove è Lui, capo e primogenito, saremo anche noi, uniti nella stessa gloria” (dal Prefazio dell’Ascensione del Signore I).

Percorrendo le settimane del “Tempo Pasquale”, abbiamo potuto riflettere, ancora una volta, su questo cammino di Grazia, che misticamente si rinnova ogni anno e che ci guida, di domenica in domenica, fino alla solennità della Pentecoste, per poi giungere -ormai nel cosiddetto “Tempo Ordinario”- alla celebrazione del Corpus Domini e del Sacratissimo Cuore di Gesù.

Una espressione, tratta dalla Liturgia, in particolare sorprende: “Egli -il Cristo- continua a offrirsi per noi e intercede come nostro avvocato: sacrificato sulla croce più non muore, e con i segni della passione vive immortale” (Prefazio Pasquale III). Cristo siede alla destra del Padre, ma portando in sé i segni della sua Passione, le stigmate sante della Croce, le ferite nelle quali un giorno invitò Tommaso, il discepolo incredulo, a porre il suo dito, perché fosse verificata e confermata definitivamente la sua “identità” di Risorto.

In quelle piaghe gloriose -che il Signore reca ormai per sempre, nella eternità- sono iscritte tutte le ferite della nostra umanità; in esse risplendono le nostre lacrime, le nostre pene, i passi incerti percorsi sotto la sferza della prova; le percosse che la vita non ci ha risparmiato. Nei “segni dei chiodi”, nella ferita del costato, trovano finalmente spazio tutti i dolori e le contraddizioni subite, che agli occhi del mondo risultano spesso incomprensibili castighi, irrazionali accanimenti di un “fato” crudele; mentre, sotto lo sguardo di Dio, rivelano tutta la loro luminosa bellezza, unite per sempre ai frutti della Passione di Cristo. In Lui siamo già risorti, per Lui la fatica di ogni giorno è già redenta; con Lui già regniamo vincitori in Cielo, anche se non è ancora concluso il tempo della prova, della tribolazione e dell’angoscia.

Solo il Cuore divino di Gesù sa accogliere e dare senso a ogni cosa, a ogni frammento smarrito del nostro tempo. Solo quel Cuore benedetto sa comprenderci, stimarci, amarci e perdonarci; solo in quel Cuore ritroviamo finalmente noi stessi, ci apriamo alla vita, riprendiamo a sperare e a lottare per il bene. Solo il Cuore di Cristo continua a confidare in noi, nonostante le tante delusioni subite, i ricorrenti peccati, le viltà e le infedeltà con le quali lo oltraggiamo e lo offendiamo.

Tutto passa, tutto scompare, sommerso dall’impietoso trascorrere del tempo: solo in quel Cuore nulla andrà perduto, perché la carità non avrà mai fine (1 Cor. 13,8).

La devozione al Cuore Immacolato di Maria, irradiatasi da Fatima, ci colloca in una speciale familiarità con il Signore: Maria Santissima ci fa sentire a casa nella casa di Dio, non più come estranei o servi, ma come figli, redenti e amati. Come Lei impariamo ad ascoltare la voce suadente del Buon Pastore; con Lei abbiamo libero accesso al Cuore di Cristo; grazie a Lei eleviamo al Cielo il nostro spirito, per affrontare i sentieri -sempre più insidiosi e infidi- del nostro tempo.

Padre Mario Piatti icms è direttore del mensile “Maria di Fatima”

Tratto dalla rivista “Maria di Fatima”, mensile della Famiglia del Cuore Immacolato di Maria www.icmf.it

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Mario Piatti

Padre Mario Piatti, I.C.M.S., è direttore del mensile Maria di Fatima

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione