«Riteniamo che almeno diecimila nordcoreani continuino a coltivare la fede cattolica nel profondo del loro cuore. Ma è difficile credere che possa esistere una chiesa sotterranea in Corea del Nord». Padre Lee Eun-hyung è il segretario generale della Commissione per la Riconciliazione del Popolo Coreano, organismo nato nel 1999 in seno alla conferenza episcopale coreana.
In una conversazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre il sacerdote sudcoreano descrive le tragiche condizioni della popolazione in Corea del Nord e racconta dei suoi tre viaggi, l’ultimo nel 2011, nella capitale nordcoreana. «Ogni volta che sono stato a Pyongyang ho celebrato messa nella Chiesa cattolica di Jangchung, l’unica riconosciuta dal regime. Vi erano sempre molte persone sedute nei banchi, ma non posso dire se fossero davvero cattolici, perché mi era severamente proibito avvicinarli e parlare con loro». Padre Lee spiega che quella di Jangchung è una chiesa alquanto singolare: la comunità è guidata da un laico che tutte le domeniche celebra la liturgia della parola. «Non potrebbe essere altrimenti perché non mi risulta che vi sia alcun sacerdote in Corea del Nord».
Il numero di cattolici rimasti nel Paese asiatico è pressoché impossibile da determinare. «Le autorità parlano di tremila fedeli, ma non sappiamo se il dato è attendibile né in che modo sia stato calcolato». Gli ultimi dati certi risalgono al 1945, anno della divisione delle due Coree, quando i cattolici nel Nord erano oltre 50mila e Pyongyang era nota come la Gerusalemme dell’Est. «A quei tempi – riferisce il sacerdote – l’opera dei missionari era assai viva e perfino la madre di Kim Il-sung, il dittatore morto nel 1994, apparteneva ad una famiglia protestante molto devota». Vi erano anche molte chiese cristiane, quasi tutte – ad eccezione di quella di Jangchung – distrutte durante la guerra del 1950-53 o in seguito adibite dal regime ad altro uso.
Oggi la Corea del Nord è tra i Paesi in cui la libertà religiosa è maggiormente negata, ma nonostante i lunghi anni di persecuzioni religiose padre Lee ritiene che almeno diecimila persone continuino in segreto a coltivare la propria fede cattolica. Una tesi che sembra trovare conferma in molte delle testimonianze dei rifugiati nordcoreani, che raccontano di donne anziane sedute in cerchio intente a contare i fagioli mormorando come se stessero recitando il rosario. Il sacerdote esclude invece la possibilità che esista una Chiesa sotterranea nordcoreana, sebbene alcuni ritengano che ve ne sia una al confine con la Cina.
«Quando si oltrepassa la “cortina di bambù” – riferisce padre Lee – si ha l’impressione di tornare indietro nel tempo di almeno quaranta o cinquanta anni. Oltre alla grave mancanza di cibo, la popolazione non ha neanche di che riscaldarsi». L’enorme bisogno di legna da ardere ha portato all’abbattimento di numerosissimi alberi, con conseguenti aumenti di slavine ed alluvioni. Gli effetti sull’agricoltura sono stati devastanti. «Nel 2007 abbiamo donato ai nordcoreani oltre 300mila pacchi di carbone. Il nostro camion è potuto arrivare fino a Kaesong, a pochi chilometri dal confine e, benché severamente vietato, abbiamo parlato con la gente del luogo e ascoltato le loro difficoltà».
Nel 2010, però, la Corea del Sud ha interrotto gli aiuti umanitari destinati a Pyongyang. «Tutte le nostre attività di sostegno sono sospese – spiega il sacerdote – ora attendiamo un cambiamento di politica da parte del presidente Lee Myung-bak. Purtroppo conosciamo perfettamente i tanti bisogni d’oltre confine». Attraverso l’associazione cattolica Joseon, l’unica riconosciuta dal regime di Kim Jong-un, continuano a giungere alla Commissione per la Riconciliazione del Popolo Coreano richieste di aiuto. E la Chiesa di Jangchung necessita lavori urgenti.
Dopo mesi di tensioni, in queste ore Seul ha accolto la richiesta di nuovi colloqui proveniente dalla Corea del Nord. Per padre Lee la ripresa del dialogo tra le due Coree è l’unica soluzione possibile. «Le tensioni hanno aggravato ulteriormente le condizioni della popolazione nordcoreana. E anche la nostra economia ne ha risentito. Una guerra provocherebbe soltanto ferite più profonde. Gli accordi e la cooperazione sono l’unica via d’uscita da questa situazione angosciante».
“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Fondazione di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2011 ha raccolto oltre 82 milioni di euro nei 17 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato oltre 4.600 progetti in 145 nazioni.