Si sono chiusi alle 22.00 di domenica 26 maggio i 199 seggi nel capolugo dell’Emilia Romagna. I votanti sono stati  85.934 pari al 28,71% degli aventi diritto. 

Nonostante l’altissima astensione, è indubbio che i sostenitori del “No” al referendum siano stati sconfitti (41%). Gli elettori, avendo votato in maggioranza per “A” (59%), hanno scelto di non finanziare più gli asili privati, frequentati da 1736 alunni, destinando la totalità delle risorse alle scuole comunali e statali.

Nel paese dove si ricevono incentivi per le ristrutturazioni delle case o l’acquisto di elettrodomestici ecologici è ancora un tabù parlare di finanziamenti che aiutino le famiglie che hanno scelto l’istruzione privata.

L’esito scontato della votazione ci fa comprendere nel piccolo quali siano le tendenze culturali degli italiani in materia di educazione ed istruzione: l’italiano medio nutre fiducia, quasi cieca si direbbe, nel sistema statale, percepito come equo, trasparente e aperto a tutti. Viceversa la scuola privata viene vista come di parte (spesso identificata con la scuola cattolica) e ad esclusivo appannaggio di chi se lo può permettere.

Ma proprio su questo punto si può aprire una importante riflessione: se lo Stato, in maniera sussidiaria, intervenisse a sostegno delle famiglie che scelgono il sistema privato, questo permetterebbe anche a quelle meno abbienti di accedere a tali strutture e ciò permetterebbe di mettere in atto quanto sancito dall’articolo 3 della nostra carta costituzionale che fra l’altro recita: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Il mancato sostegno da parte dello Stato alle famiglie che hanno scelto per i loro figli il sistema dell’istruzione privata, oltre che ad allontanarci da quello che normalmente avviene nel resto d’Europa, pone anche una questione di giustizia fiscale. Infatti, tali famiglie pagano le tasse, senza ricevere dallo Stato il corrispettivo servizio. In altre parole si può dire che lo Stato guadagna ogni volta che il cittadino sceglie servizi privati perché incamera denari senza poi erogare servizi.

La sconfitta del fronte del “No”, induce anche a riflettere sul ruolo che i mass media hanno nella formazione delle coscienze: infatti mentre in tv spesso si sentono le voci a sostegno della scuola statale, molto raramente si sentono quelle in difesa della scuola privata.

Neppure a livello terminologico ci si riesce a mettere d’accordo: infatti, in modo erroneo, la scuola statale è la sola che viene normalmente chiamata pubblica. In realtà, tutte le scuole, rivolgendosi a una pluralità di persone, sono pubbliche, poi esse si dividono in statali e private a seconda di chi le gestisce. Persino su una tale ovvietà ci si scontra, a volte con furore ideologico! Eppure nessuno fa fatica a chiamare “locale pubblico” una  pizzeria gestita da un privato!

Come si sa, il tema della libertà di educazione rientra nei “valori nono negoziabili” della dottrina sociale della Chiesa. Dobbiamo costatare purtroppo che in questo campo i cattolici sono culturalmente in minoranza. Su questi temi non si riesce ancora a ragionare serenamente, speriamo che gli steccati ideologici cadano e che la libertà di educazione divenga una realtà.

Per approfondimenti o informazioni: www.nicolarosetti.it

(Articolo tratto da Àncora Online, il settimanale della Diocesi di San Benedetto del Tronto)