Pubblichiamo quanto papa Francesco ha detto ai partecipanti al convegno internazionale promosso dalla Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice, ricevuti in udienza nella mattina di sabato 25 maggio.
Il testo del Pontefice è stato pubblicato da L’Osservatore Romano del 26 maggio 2013.
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Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Illustri e cari amici, buongiorno a tutti!
Vi incontro molto volentieri in occasione del Convegno internazionale della Fondazione
Centesimus Annus Pro Pontifice, sul tema: «Ripensando la solidarietà per l’impiego: le sfide del ventunesimo secolo». Saluto cordialmente ciascuno di voi, e ringrazio in particolare il vostro Presidente, Dott. Domingo Sugranyes, per le sue cortesi parole.
La Fondazione Centesimus Annus fu istituita dal Beato Giovanni Paolo II vent’anni fa, e porta il nome dell’Enciclica che egli firmò nel centenario della Rerum novarum. Il suo ambito di riflessione e di azione è dunque quello della Dottrina sociale della Chiesa, alla quale hanno contribuito in diversi modi i Papi del secolo scorso e anche Benedetto XVI, in particolare con l’Enciclica Caritas in veritate, ma anche con memorabili discorsi.
Vorrei perciò anzitutto ringraziarvi per il vostro impegno nell’approfondire e diffondere la conoscenza della Dottrina sociale, con i vostri corsi e le pubblicazioni. Penso che sia molto bello e importante questo vostro servizio al magistero sociale, da parte di laici che vivono nella società, nel mondo dell’economia e del lavoro.
Proprio sul lavoro si orienta il tema di questo vostro Convegno, nella prospettiva della solidarietà, che è un valore portante della Dottrina sociale, come ci ha ricordato il Beato Giovanni Paolo II.
Egli, nel 1981, dieci anni prima della Centesimus annus, scrisse l’Enciclica Laborem exercens, interamente dedicata al lavoro umano.
Che cosa significa «ripensare la solidarietà?». Certamente non significa mettere in discussione il recente magistero, che anzi dimostra sempre più la sua lungimiranza e la sua attualità. Piuttosto “ripensare” mi pare significhi due cose: anzitutto coniugare il magistero con l’evoluzione socio-economica, che, essendo costante e rapida, presenta aspetti sempre nuovi; in secondo luogo, “ripensare” vuol dire approfondire, riflettere ulteriormente, per far emergere tutta la fecondità di un valore — la solidarietà, in questo caso — che in profondità attinge dal Vangelo, cioè da Gesù Cristo, e quindi come tale contiene potenzialità inesauribili.
L’attuale crisi economica e sociale rende ancora più urgente questo “ripensare” e fa risaltare ancora di più la verità e attualità di affermazioni del magistero sociale come quella che leggiamo nella Laborem exercens: «Gettando lo sguardo sull’intera famiglia umana … non si può non rimanere colpiti da un fatto sconcertante di proporzioni immense; e cioè che, mentre da una parte cospicue risorse della natura rimangono inutilizzate, dall’altra esistono schiere di disoccupati o di sottooccupati e sterminate moltitudini di affamati: un fatto che, senza dubbio, sta ad attestare che … vi è qualcosa che non funziona» (n. 18).
È un fenomeno, quello della disoccupazione — della mancanza e della perdita del lavoro — che si sta allargando a macchia d’olio in ampie zone dell’occidente e che sta estendendo in modo preoccupante i confini della povertà. E non c’è peggiore povertà materiale, mi preme sottolinearlo, di quella che non permette di guadagnarsi il pane e che priva della dignità del lavoro.
Ormai questo «qualcosa che non funziona» non riguarda più soltanto il sud del mondo, ma l’intero pianeta. Ecco allora l’esigenza di «ripensare la solidarietà» non più come semplice assistenza nei confronti dei più poveri, ma come ripensamento globale di tutto il sistema, come ricerca di vie per riformarlo e correggerlo in modo coerente con i diritti fondamentali dell’uomo, di tutti gli uomini.
A questa parola “solidarietà”, non ben vista dal mondo economico — come se fosse una parola cattiva —, bisogna ridare la sua meritata cittadinanza sociale. La solidarietà non è un atteggiamento in più, non è un’elemosina sociale, ma è un valore sociale. E ci chiede la sua cittadinanza.
La crisi attuale non è solo economica e finanziaria, ma affonda le radici in una crisi etica e antropologica. Seguire gli idoli del potere, del profitto, del denaro, al di sopra del valore della persona umana, è diventato norma fondamentale di funzionamento e criterio decisivo di organizzazione. Ci si è dimenticati e ci si dimentica tuttora che al di sopra degli affari, della logica e dei parametri di mercato, c’è l’essere umano e c’è qualcosa che è dovuto all’uomo in quanto uomo, in virtù della sua dignità profonda: offrirgli la possibilità di vivere dignitosamente e di partecipare attivamente al bene comune.
Benedetto XVI ci ha ricordato che ogni attività umana, anche quella economica, proprio perché umana, deve essere articolata e istituzionalizzata eticamente (cfr. Lett. enc. Caritas in veritate, 36). Dobbiamo tornare alla centralità dell’uomo, ad una visione più etica delle attività e dei rapporti umani, senza il timore di perdere qualcosa. Cari amici, grazie ancora una volta per questo incontro e per il lavoro che svolgete. Assicuro per ciascuno di voi, per la Fondazione, per tutti i vostri cari, il ricordo nella preghiera, mentre vi benedico di cuore. Grazie.