“Un’attività ignobile, una vergogna per le nostre società che si dicono civilizzate!”. Non ci sono altre parole per definire il fenomeno della “tratta delle persone” secondo Papa Francesco. Il Pontefice non pone alcun freno alla denuncia di questa piaga che distrugge la “carne di Cristo” e, nell’Udienza di oggi ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, afferma: “Sfruttatori e clienti a tutti i livelli dovrebbero fare un serio esame di coscienza davanti a se stessi e davanti a Dio!”. Al contempo, rinnova il forte appello della Chiesa “affinché siano sempre tutelate la dignità e la centralità di ogni persona, nel rispetto dei diritti fondamentali”.
La riflessione intrisa di sdegno del Santo Padre parte dall’analisi del Documento del Dicastero, che “richiama l’attenzione sui milioni di rifugiati, sfollati e apolidi, toccando anche la piaga dei traffici di esseri umani, che sempre più spesso riguardano i bambini, coinvolti nelle forme peggiori di sfruttamento e reclutati persino nei conflitti armati”.
“In un mondo in cui si parla molto di diritti – esclama il Pontefice – quante volte viene di fatto calpestata la dignità umana!”. Il denaro, invece, sembra l’unico ad avere diritti, perché è lui a comandare il mondo attuale. “Noi – constata tristemente – viviamo in un mondo, in una cultura dove regna il feticismo dei soldi”.
Francesco incoraggia pertanto il Pontificio Consiglio “a proseguire sulla strada del servizio ai fratelli più poveri ed emarginati”, ricordando le parole di Paolo VI, alla chiusura del Vaticano II (8 dicembre 1965): «Per la Chiesa cattolica nessuno è estraneo, nessuno è escluso, nessuno è lontano».
“Siamo infatti una sola famiglia umana” rimarca il Successore di Pietro, e “l’attenzione materna” della Chiesa si manifesta “con particolare tenerezza e vicinanza verso chi è costretto a fuggire dal proprio Paese e vive tra sradicamento e integrazione”. “La compassione cristiana – soggiunge – questo ‘soffrire con’, si esprime anzitutto nell’impegno di conoscere gli eventi che spingono a lasciare forzatamente la Patria e, dove è necessario, nel dar voce a chi non riesce a far sentire il grido del dolore e dell’oppressione”.
In tal direzione, il Dicastero per i Migranti svolge “un compito importante anche nel rendere sensibili le Comunità cristiane verso tanti fratelli segnati da ferite che marcano la loro esistenza”. Ferite così numerose da non poter essere neanche elencate. Il Pontefice ne nomina alcune: “Violenza, soprusi, lontananza dagli affetti familiari, eventi traumatici, fuga da casa, incertezza sul futuro nel campo-profughi”. Tutti elementi, afferma, “che disumanizzano e devono spingere ogni cristiano e l’intera comunità ad una attenzione concreta”.
Tuttavia, anche nel marcio c’è qualcosa che brilla: è “la luce della speranza” che il Successore di Pietro invita “a cogliere negli occhi e nel cuore dei rifugiati e delle persone forzatamente sradicate”. Questa speranza, “si esprime nelle aspettative per il futuro, nella voglia di relazioni d’amicizia, nel desiderio di partecipare alla società che li accoglie, anche mediante l’apprendimento della lingua, l’accesso al lavoro e l’istruzione per i più piccoli”. Confessa Bergoglio: “Ammiro il coraggio di chi spera di poter gradualmente riprendere la vita normale in attesa che la gioia e l’amore tornino a rallegrare la sua esistenza”.
Tutti, quindi, “possiamo e dobbiamo alimentare questa speranza!”. Soprattutto chi ha il potere di farlo: governanti, legislatori, la Comunità Internazionale. Il Pontefice li esorta infatti a porre in atto “iniziative efficaci e nuovi approcci” per tutelare la dignità dei migranti di fronte a queste “moderne forme di persecuzione, oppressione e schiavitù”.
“Si tratta di persone umane” ribadisce; esseri umani “che hanno bisogno di interventi urgenti, ma anche e soprattutto di comprensione e di bontà”. La loro condizione pertanto “non può lasciare indifferenti”. Un richiamo, quindi, va anche ad ogni Pastore e Comunità cristiana, i quali – dice Bergoglio – devono avere particolare cura del “cammino di fede dei cristiani rifugiati e forzatamente sradicati, come pure dei cristiani emigranti”, attraverso una pastorale “che rispetti le loro tradizioni e li accompagni ad una armoniosa integrazione nelle realtà ecclesiali in cui si trovano a vivere”.
Conclude il Papa: “Cari amici, non dimenticate la carne di Cristo che è nella carne dei rifugiati”. In virtù di questo, diventa urgente la responsabilità del Dicastero ad “orientare verso nuove forme di corresponsabilità tutti gli Organismi impegnati nel campo delle migrazioni forzate”, al fine di “favorire risposte concrete di vicinanza e di accompagnamento delle persone, tenendo conto delle diverse situazioni locali”