Pubblichiamo di seguito il discorso rivolto dal cardinale Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ai partecipanti alla XX Sessione Plenaria del dicastero, inaugurata questa mattina a Roma.
La Plenaria si svolge a Palazzo San Calisto (Trastevere) e termina la sera di venerdì 24 maggio.
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Eminenze, Eccellenze,
Sacerdoti, Religiosi e Religiose,
Signore e Signori,
Introduzione
Buongiorno e benvenuti a questa ventesima Assemblea Plenaria. Siamo qui riuniti per riprendere il nostro cammino verso una migliore comprensione della migrazione forzata in rapporto alla nostra fede e alla solidarietà con chi è costretto a lasciare la sua casa, e per individuare risposte più adeguate. La presenza e la sofferenza di persone forzatamente sradicate sono una sfida per la nostra fede, un invito a riflettere ancora una volta su cosa significhi essere cristiani e quali risposte siano necessarie.
Nel suo Messaggio per la Giornata Mondialedel Migrante e del Rifugiato del 2011, Papa Benedetto XVI ha affermato che “È in modo particolare la santa Eucaristia a costituire, nel cuore della Chiesa, una sorgente inesauribile di comunione per l’intera umanità. In effetti, l’esercizio della carità, specialmente verso i più poveri e deboli, è criterio che prova l’autenticità delle celebrazioni eucaristiche”.[1] Questo è stato espresso in modo diverso da Papa Francesco: “Ho detto «straniero»: penso a tanti stranieri … : cosa facciamo per loro? … Questo ci dice che noi saremo giudicati da Dio sulla carità, su come lo avremo amato nei nostri fratelli, specialmente i più deboli e bisognosi”.[2]
Il cambiamento delle migrazioni
La migrazione e il modo di intenderla sono cambiati. Anni fa la differenza tra migrazione volontaria e involontaria (migranti per motivi di lavoro e rifugiati) è stata definita più nettamente. Attualmente tale differenza è diventata vaga e indistinta, a volte anche controversa e contestata.
La migrazione forzata è costituita da movimenti migratori involontari. Minacce alla vita, come persecuzione, conseguenze di conflitti o altre violazioni dei diritti umani, costringono le persone a spostarsi. Alcuni attraversano le frontiere internazionali e così diventano rifugiati, mentre altri restano in una diversa regione del loro Paese e sono considerati internally displaced persons (IDP). Due categorie distinte.
Un altro gruppo di sfollati interni è costituito da quanti abitavano in luoghi in cui il Governo ha deciso di realizzare progetti infra-strutturali di sviluppo. Il mondo deve anche confrontarsi con le vittime e le conseguenze dei disastri naturali. Vi sono calamità naturali sufficientemente visibili, ma cosa si può dire di disastri a lenta insorgenza, come la perdita dei raccolti causata da un ulteriore anno di siccità? La popolazione ricorre a contromisure e un componente della famiglia migrerà temporaneamente. Si tratta forse di abbandono volontario, come nel caso dei lavoratori migranti o di persone costrette ad andarsene perché le loro famiglie possano sopravvivere? Lo stesso vale per l’innalzamento del livello degli oceani. Chi fornirà qualche forma di protezione e in base a quale mandato?
Il traffico di esseri umani esiste nella maggior parte dei Paesi, sotto forme molte diverse. Si tratta di persone che sono state ingannate sugli obiettivi del lavoro e quindi sono soggette a sfruttamento. Non possono più dire una parola sul loro destino, né sulla propria vita. Unico scopo è quello di trarre profitto ovunque lavorino o qualunque cosa facciano. Le cause profonde del traffico di esseri umani non risiedono soltanto nella povertà e nella disoccupazione. La domanda di manodopera a basso costo, di prodotti a basso prezzo o di “sesso esotico o inusuale” sono pure cause primarie del traffico. Le diverse forme di traffico costituiscono violazione dei diritti umani, che richiedono approcci e misure adeguate per restituire la dignità alle vittime.
Statistiche di questo fenomeno nella sua totalità sono difficili da ottenere e da interpretare. Tuttavia, si stima che almeno 100 milioni di persone abbiano lasciato a malincuore le loro case o si trovino in esilio. C’è anche da tener presente che nel prossimo futuro gli effetti del cambiamento climatico genereranno movimenti di popolazione su larga scala e grandi sfide per la mobilità umana.
Espansione dei mandati e della protezione
A fianco delle persone forzate all’emigrazione sono impegnate diverse organizzazioni e i loro mandati.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) è incaricato di trattare i diversi aspetti delle persone rifugiate, inclusa la ricerca di soluzioni. Esso è regolato dalla Convenzione dei rifugiati del 1951. Trattati, estensioni, cambiamenti nella realtà e la giurisprudenza hanno portato a un’ulteriore interpretazione e all’ampliamento del concetto di rifugiato. L’ACNUR ha anche ricevuto un mandato da parte dell’Assemblea Generale, nel 1974, per ridurre l’apolidia.
L’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e il Lavoro per i Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), fondata nel 1949, si colloca al di fuori della Convenzione del 1951 e si occupa dell’assistenza dei rifugiati Palestinesi.
Il mandato dell’ACNUR è stato notevolmente ampliato per includere anche, a determinate condizioni e su richiesta speciale dell’Assemblea Generale, l’assistenza umanitaria, la protezione degli sfollati interni a causa di conflitti nelle aree di protezione, l’alloggio e la gestione dei campi profughi. Anche i disastri naturali forzano lo spostamento, per cui è stato chiesto all’ACNUR di assumersi l’organizzazione del cluster di protezione a livello globale.
Le persone in condizioni quasi di rifugio, che però non attraversano un confine internazionale (IDP), non hanno una base giuridica e istituzionale per ricevere protezione e assistenza umanitaria da parte della comunità internazionale. I loro Governi sono responsabili del loro benessere e della sicurezza, ma spesso non riescono a farlo perché non sono in grado di onorare tale obbligo, quando addirittura non sono essi stessi ad aver causato lo sfollamento. Un passo avanti per affrontare queste situazioni è stata la pubblicazione, nel 1998, dei Principi Guida sugli Sfollati Interni, che trattano di tutte le forme di sfollamento interno, e la Convenzione di Kampala del 2012, che è il primo strumento regionale al mondo a imporre la protezione legale per i diritti e il benessere di chi è costretto a fuggire entro i confini del suo Paese d’origine.
Il traffico di esseri umani è affrontato sotto diversi aspetti da una pluralità di soggetti, dall’ILO[3], l’ACNUR[4], l’OIM[5], l’UNODC[6], l’OSCE[7], ognuno attento a un particolare aspetto del fenomeno. Tutte queste organizzazioni e altre ancora, tra cui le Organizzazioni non Governative, sono convocate due volte l’anno dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), per collaborare come Alleanza Contro il Traffico di Persone.
Indebolimento dell’impegno e misure restrittive
Tuttavia, nonostante i progressi compiuti, si può osservare anche un’altra tendenza contrastante, costituita dall’allargamento dei mandati e dalla maggior attenzione verso chi è costretto a emigrare. L’atteggiamento dei Paesi industrializzati e nei Paesi del Sud è cambiato in senso negativo, allo scopo di rendere più difficile la vita ai richiedenti asilo. Tale cambiamento riguarda l’abbassamento degli standard umanitari e l’introduzione di misure restrittive. Ciò contribuisce al contrabbando di persone in viaggi pericolosi.
I Paesi del Sud ritengono che la condivisione degli oneri relativi ai costi sociali ed e
conomici non sia stata sufficientemente affrontata dalla comunità internazionale. Ne è conseguita una diminuzione dell’ospitalità e dell’accordo a ricevere flussi ingenti di rifugiati per un periodo indefinito di tempo. Ne sono state gravemente colpite le tre soluzioni durature: il rimpatrio volontario, il reinsediamento e l’integrazione.
La presenza di persone forzatamente sradicate è vista come un problema, e non come un segno di un più profondo dilemma. Questo va di pari passo con un atteggiamento di irrigidimento dell’opinione pubblica e sta minacciando lo spazio di protezione.
La Protezione
La protezione non è una semplice concessione data al rifugiato. Il rifugiato e lo sfollato sono soggetti con diritti e doveri. Se questi diritti esistenti fossero rispettati e se ci fossero maggiori e più tempestivi investimenti economici e finanziari per superare le emergenze e per avviare la ricostruzione della società, farebbe davvero la differenza.
La protezione comprende tutte le attività finalizzate a ottenere il pieno rispetto dei diritti della persona in conformità alla lettera e allo spirito dei competenti organi di legge. Si compone di diritti civili e politici, come anche di diritti economici, sociali, culturali e religiosi. Tra questi diritti vi sono la libertà di movimento all’interno del Paese, la pratica della religione e l’educazione religiosa, il diritto al lavoro e l’accesso alla questione abitativa.
Non ottemperare a questi diritti ha conseguenze drammatiche. I rifugiati diventano quasi del tutto dipendenti dall’assistenza umanitaria internazionale per il cibo e altre necessità. Circa 7 milioni di persone, escludendo la popolazione dei rifugiati Palestinesi, sono costrette in situazioni prolungate, della durata media attualmente di quasi 20 anni. Ciò significa che un’intera generazione di bambini non conosce altra realtà che la situazione del campo profughi.
Il documento che stiamo per pubblicare dichiara molto bene che almeno questi diritti esistenti dovrebbero essere garantiti. Dobbiamo rispettare i principi, tenendo presente che la Convenzione sui rifugiati è stata considerata uno strumento minimale, atta a essere migliorata. Lo spirito del 1951 dovrebbe essere rianimato, per portare a una politica aperta, che risponda integralmente ai problemi di oggi e di domani.
Il coinvolgimento della Chiesa
Il Cristianesimo, fin dalle sue origini, ha sempre avuto un atteggiamento aperto al debole e allo straniero. La migrazione appartiene alla tradizione cristiana. Tante storie della Bibbia sono legate alla migrazione: Abramo, Mosè, i genitori di Gesù che sono fuggiti dal loro paese e hanno cercato rifugio in Egitto per sottrarsi alla persecuzione, al Giudizio Universale con la sua domanda: quando ti abbiamo visto …? “Ero forestiero e mi avete accolto” (Mt 25,35). La protezione degli stranieri si trova qui, allo stesso livello della sollecitudine di Dio per i poveri, le vedove e gli orfani. Questa era basata sulla tradizione ebraica. Lo straniero deve essere trattato allo stesso modo degli Israeliti (cfr Lev 19,34).
La diffusione del Vangelo, quando gli apostoli e i loro successori dipendevano dall’accoglienza e dall’ospitalità che venivano loro offerte, ha fatto sì che l’ospitalità diventasse marchio di fabbrica della Chiesa.
La primitiva comunità cristiana di Roma si distingueva soprattutto per un elemento che la rendeva diversa dal suo ambiente, cioè la sua idea di ospitalità. Se qualcuno non aveva un posto dove andare, trovava accoglienza in quella comunità.
Più tardi questa idea di ospitalità si è allargata. Si comprende così come ospedali e case di riposo, nonché opere di beneficenza siano iniziate sotto il patrocinio della comunità cristiana.
Con le generazioni successive, l’attenzione alle persone bisognose di assistenza ha subito cambiamenti di forma, ma la sollecitudine nei loro confronti è sempre rimasta una componente essenziale del cristianesimo. Questo ha trovato completamento nella Dottrina sociale della Chiesa, con principi come la solidarietà e il bene comune. Alla base della sua visione della società c’è la convinzione che “i singoli esseri umani sono il fondamento, la causa e il fine di ogni istituzione sociale”.[8]
La solidarietà è legata alla comprensione che noi siamo una sola famiglia umana, qualunque siano le nostre differenze nazionali, razziali, etniche, economiche e ideologiche, e dipendiamo gli uni dagli altri. La solidarietà è frutto di amore e giustizia messi in pratica.
Come ha affermato Papa Benedetto XVI: “Accogliere i rifugiati e offrire loro ospitalità è per tutti un doveroso gesto di umana solidarietà, affinché essi non si sentano isolati a causa dell’intolleranza e dell’indifferenza”.[9] Questo è stato realizzato dalla Chiesa in molti modi nel corso della storia, e ogni volta e ogni situazione richiedono una risposta adeguata.
Collegamenti – relazioni con altri settori
Elementi della migrazione forzata stanno penetrando diversi aspetti della vita e toccano anche i diversi settori di questo Dicastero. Questo certamente avrà delle conseguenze. Ne segnalo soltanto alcune, in quanto molto probabilmente ne sentiremo molte altre in questi giorni.
Settore Migranti: flussi migratori misti. Dopo il loro arrivo, è necessario riservare un trattamento diverso ai richiedenti asilo, ai migranti e ad altre persone. Il problema di questi flussi è che spesso sono introdotti in modo irregolare in un Paese, cosa che alla fine può condurre a mero sfruttamento, sotto forma di traffico di esseri umani.
Settore Apostolato del Mare: l’obbligo di salvataggio in mare è ben definito nella legislazione marittima, in quella dei rifugiati, nella normativa dei diritti umani e negli strumenti operativi. Tuttavia capita sempre più spesso che i comandanti si trovino in una situazione difficile tra l’obbligo di offrire assistenza e le gravi conseguenze economiche che ciò comporta. Inoltre, a volte i membri dell’equipaggio vengono messi sotto processo per i loro tentativi di soccorso.
Le persone sono attratte dalla promessa di posti di lavoro meglio retribuiti. Alla fine, però, si ritrovano a lavorare su navi contro la loro volontà, in condizioni di sfruttamento nel settore della pesca, diventando così vittime del traffico di esseri umani.
Settore dell’Aviazione civile: molte volte i richiedenti asilo in arrivo negli aeroporti non ottengono l’accesso al territorio del Paese, ma sono trattenuti in zone di transito. Il ministero dei cappellani aeroportuali comprende coloro che sono confinati nei centri di detenzione aeroportuali. Anche gli aeroporti sono luoghi in cui si è visto che le persone possono essere vittime del traffico.
Settore Nomadi: molti Rom sono apolidi, persone quasi invisibili, prive di documenti di identità, con poche opportunità di ottenere un posto di lavoro, di studiare e di lasciare i loro poveri accampamenti. Questo si traduce spesso in accattonaggio, cui sono costretti bambini e donne. Anche nell’ambito dei Rom è presente il traffico di esseri umani.
Settore Studenti internazionali: agli studenti internazionali può accadere che la loro situazione personale cambi a seguito di un colpo di Stato nel proprio Paese oppure perché vengono coinvolti in attività consentite nel Paese di residenza, ma guardate con sospetto in patria. Queste vicende possono portarli a diventare rifugiati in loco.
Settore Turismo: lo sfruttamento sessuale di bambini e donne da parte di turisti, uomini d’affari, lavoratori dei trasporti e personale militare è un fatto ben noto. Su questo ha insistito il Codice Mondiale di Etica del Turismo, dicendo che “lo sfruttamento di esseri umani, in qualsiasi forma, in particolare sessuale, specialmente
quando riguarda i bambini, viola gli obiettivi fondamentali del turismo e costituisce una negazione della sua essenza”.[10] Sono stati istituiti codici di condotta per le imprese, in modo da affrontare la questione alla radice. L’industria del turismo ha adottato nel 2001 il Codice di condotta per la protezione dei bambini dallo sfruttamento sessuale nei viaggi e nel turismo. Attualmente esso è stato sottoscritto da più di 1250 compagnie che operano in 45 Paesi diversi.
Settore Pastorale della Strada: le donne sono ben visibili sui marciapiedi delle strade. Si tratta della prostituzione di strada e di donne sottoposte a sfruttamento sessuale. Sono due realtà distinte. Ridurre le donne a vittime del traffico a scopo di sfruttamento sessuale è una violazione dei diritti umani, e accade con il ricorso alla violenza e all’inganno. Questo ha le sue conseguenze sulla sollecitudine pastorale.
Vivere senza fissa dimora ostacola la stabilità e i legami nella vita delle persone. I richiedenti asilo, i rifugiati e gli apolidi molte volte incontrano difficoltà nell’accedere a un alloggio sicuro e a prezzi accessibili, cadendo in situazioni di vita tipiche dei senza tetto.
Conclusione
I Governi, le Organizzazioni non Governative e, in generale, tutti hanno il dovere di sentirsi coinvolti nelle questioni che toccano le persone forzatamente sradicate. Una particolare responsabilità spetta alla comunità di Cristo, la Chiesa.
Gesù si identifica con gli stranieri, i malati, i sofferenti, i senza fissa dimora e con tutte le vittime innocenti di violenze e abusi. Nei loro confronti egli mostra amore e compassione.
Anche noi siamo invitati a dare testimonianza di questo messaggio di speranza per tutti, la Buona Novella per ogni situazione e per la vita intera di tutti gli esseri umani. La Chiesa ha sempre bisogno di nuova consapevolezza sul modo di accogliere gli immigrati, i richiedenti asilo, i rifugiati, coloro che sono forzatamente sradicati, per mettere in pratica la solidarietà.
Come ha detto Papa Francesco: “Bisogna uscire a sperimentare la nostra unzione, il suo potere e la sua efficacia redentrice: nelle «periferie» dove c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni. (…) Questo io vi chiedo: siate pastori con «l’odore delle pecore», che si senta quello, invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini”.[11]
Inoltre, dobbiamo essere pronti a ridare continuamente nuova forma ai nostri sforzi pastorali dal momento che nuove sfide richiedono nuove risposte. Questo sarà il programma da attuare per rimanere fedeli a Gesù Cristo, straniero in mezzo a noi.
Grazie.
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NOTE
[1] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mane nobiscum Domine, 28.
[2] Papa Francesco, Udienza Generale, 24 aprile 2013.
[3] Ufficio Internazionale per il Lavoro (ILO).
[4] Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR-UNHCR).
[5] Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM).
[6] Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC).
[7] Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OCSE-OCSE).
[8] Giovanni XXIII, Mater et Magistra, n. 219.
[9] Benedetto XVI, Udienza generale, 20 giugno 2007.
[10] Organizzazione Mondiale del Turismo, Codice Etico Mondiale del Turismo, 1 ottobre 1999, art. 2 & 3.
[11] Papa Francesco, Omelia per la Messa Crismale, 28 marzo 2013.