Non un saggio storico ma una vera e propria inchiesta giornalistica, basata sulle fonti dell’Archivio Vaticano. A cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, Ignazio Ingrao, vaticanista di Panorama, ha pubblicato il libro Il Concilio segreto (Piemme, 2013), presentato ieri sera presso la sala Aldo Moro della Camera dei Deputati.
Durante il dibattito, moderato dal direttore di Panorama, Giorgio Mulè, sono intervenuti, oltre all’autore, Giuliano Ferrara, direttore del Foglio, Andrea Riccardi, professore ordinario di Storia Contemporanea all’Università di Roma Tre, e Luciano Violante, presidente emerito della Camera dei Deputati.
Secondo Ferrara, il libro di Ingrao “vuole rendere conto di una parte di realtà” della storia della Chiesa. Il Concilio segreto, ha aggiunto il direttore del Foglio, è “frutto di una ricerca senza pregiudizi” e “non ha un taglio scandalistico o alla Dan Brown”.
Quanto all’evento storico in sé, Ferrara considera l’avvento di papa Francesco come la definitiva conclusione del post-Concilio, laddove, per la prima volta, è stato eletto un pontefice ordinato dopo il Vaticano II (1969), quindi al di fuori delle logiche dei dibattiti teologici, in mezzo ai quali era cresciuto il suo predecessore Joseph Ratzinger.
Il Vaticano II fu luogo di incontro delle più alte intelligenze ecclesiali dell’epoca, ha osservato Ferrara, ma, al tempo stesso fu anche luogo di un “violento scontro politico” tra chi era legato ancora alla Chiesa di Roma e il nuovo fronte della Chiesa centro-europea, in un momento di crisi della Chiesa stessa.
Un elemento interessante del saggio di Ingrao, rilevato sia da Ferrara che da Mulè, è la “profezia” della “Chiesa povera”, portata avanti dal cardinale arcivescovo di Bologna, Giacomo Lercaro, con mezzo secolo di anticipo rispetto a papa Bergoglio.
Diversa è la prospettiva di Andrea Riccardi sul rapporto tra papa Francesco e il post-Concilio: il pontefice argentino, ha spiegato lo storico, “non rappresenta l’archiviazione del Vaticano II”, ma piuttosto la sua definitiva realizzazione avendone egli assimilato fino in fondo lo spirito.
Il Concilio, ha proseguito Riccardi, è un avvenimento storico profondamente complesso, difficile da raccontare, essendo stato un fenomeno mediatico, prima ancora che ecclesiale, quindi da subito soggetto a una molteplicità di interpretazioni.
Infatti, sebbene per prassi fossero i vescovi a riferire le innovazioni conciliari ai fedeli delle proprie diocesi, spesso accadeva che i fedeli stessi ne fossero già informati grazie alla stampa.
Inoltre, in un’epoca in cui il mondo era spaccato in due dalla Guerra Fredda, “il Concilio rappresenta il primo evento ‘paneuropeo’ dalla fine del secondo conflitto mondiale”, quindi un antesignano della globalizzazione.
La novità costituita dalla promozione della libertà religiosa, con la dichiarazione Nostra Aetate, assieme alla presenza di rappresentanti ecumenici all’assise conciliare, è un altro elemento anticipatore dell’epoca attuale, in cui molteplici religioni e fedi diverse convivono molto più a stretto contatto che in passato.
L’apertura alle chiese d’oltrecortina diede luogo anche a fenomeni controversi come il patto Tisserant-Nikodim, con cui l’Unione Sovietica concedeva la partecipazione al Vaticano II di alcuni vescovi ortodossi russi a patto che nei documenti conciliari non si esprimesse alcuna condanna del comunismo. Tuttavia, ha commentato Riccardi, “non si trattò soltanto di un fatto diplomatico, poiché il Concilio, per principio, non avrebbe avuto parole di condanna nei confronti di nessuno”.
Secondo Luciano Violante, il libro di Ignazio Ingrao è un’ottima inchiesta che non scade nel “voyeurismo giornalistico” e che mette molto bene in evidenza la “lotta delle idee” che animò il Concilio.
“Se tutte le storie narrate in questo libro fossero emerse già a quell’epoca, forse la Chiesa ne sarebbe uscita dilaniata”, ha commentato il presidente emerito della Camera, sottolineando l’asprezza del confronto dialettico tra i vari orientamenti conciliari.
Da parte sua Ignazio Ingrao ha parlato del Concilio come un “momento di riflessione e di opinione”, la cui attualità si riscontra nella nuova “stagione delle riforme” che la Chiesa sta vivendo e che sta caratterizzando anche il mondo politico.
Riformare, ha spiegato Ingrao, non significa soltanto modificare i “rapporti di forza”, quanto soprattutto i “punti di osservazione”. Ad esempio il dibattuto concetto di “collegialità” non è così nuovo come si crede ma era già patrimonio della Chiesa delle origini ed oggi può essere rideclinato nella modernità.
Inoltre il Concilio ha rappresentato una “sintesi tra realismo e profezia”, come è sempre avvenuto nella storia della Chiesa: realista era, ad esempio, San Pietro, quando scelse di predicare il Vangelo ai soli ebrei, in disaccordo con il “profetico” San Paolo che intendeva evangelizzare anche i pagani.
Anche la recente elezione di papa Francesco può essere interpretata secondo tali criteri, sebbene, secondo Ingrao, sia “difficile dire, dopo due mesi, chi abbia vinto tra realismo e profezia”. Un elemento profetico è tuttavia la volontà del nuovo pontefice di “colmare lo iato profondo che esiste tra la Chiesa di Roma e le chiese territoriali”.
Sia Ratzinger, con la sua rinuncia, che Bergoglio hanno contribuito a una “desacralizzazione del potere ecclesiastico” che però non coincide con un suo “svuotamento”, in quanto “l’autorità rimane intatta”, ma piuttosto con una sua “umanizzazione” che lo rende “più capace di dialogare con il mondo”.