Giovani sì, ma quali?
Nella categoria dei giovani, di cui qui si parla, sono compresi soprattutto (e ovviamente con maggior rischio) quelli che fanno i consumisti e gli strafottenti bighellonando smarriti nel vuoto di valori. Tuttavia, anche se una fede vissuta con coerenza e impegno resta sempre la migliore “vaccinazione”, l’esperienza ammonisce di non escludere totalmente dal rischio di fascinazioni ben studiate anche quei giovani che si interrogano sul senso della vita, sul come impostarla per utilizzarla al meglio, come realizzare se stessi, rendersi utili ecc…. Giovani cioè ancora relativamente “puliti”. Giovani che, rispetto alle sclerotizzazioni, stanchezze e ipocrisie di certi adulti, mantengono un’ansia di rinnovamento e di miglioramento per una società che lascia a desiderare su molti fronti. Solo che questa aspirazione magari è latente, dorme sotto la cenere, non ha ancora avuto modo di essere indirizzata e valorizzata.
Sarà prudente quindi comprendere tra i giovani in pericolo anche i nostri giovani di parrocchia e segnatamente quelli che non hanno fatto della Cresima il primo giorno di una vita nuova, come era in votis, cioè impegnata nella propria santificazione e nell’apostolato.
Giovani: dei “poveri appetibili”.
Ebbene questi giovani hanno bisogno di orientamento, di entusiasmarsi per un grande ideale, di sentirsi protagonisti di una società futura. Hanno bisogno di spiritualità, di Gesù, altrimenti rischiano di diventare adulti non vivendo ma lasciandosi vivere, dietro la corrente, baloccandosi tra moto e flirts, assordandosi in discoteca o nei pub, sempre e comunque a caccia di sensazioni epidermiche che li facciano uscire da sé, oltre un sano “divertirsi”, fino a darsi allo “sballo”, agli sport estremi, nei casi peggiori, perfino alla alienazione dell’alcool e droga. Ecco perché la CEI li ha additati come soggetti a rischio di fascinazioni settarie (1) e una CARITAS moderna li inserisce nella categoria dei “poveri”.
A costoro sette e MRA non propongono cose che li blandiscono ma l’esatto contrario: la fatica, l’impegno, il proprio miglioramento virtuoso, un ideale che richiede sacrificio ma che sappia di grandezza, una conquista esaltante che dia senso alla vita e persuada che valga la pena di viverla in un certo modo. Vediamo…
La novità della moderna CARITAS non sta solo nella promozione umana delle persone (insegnare a pescare) sostitutiva del precedente aiuto economico (dare il pesce), ma anche nell’aver scoperto varie categorie, tutte moderne, di “povertà”. Ad esempio: i malati cronici, gli anziani abbandonati, gli immigrati, i disoccupati, le persone culturalmente indifese, i coniugi innocenti separati ecc… E nell’elenco figurano, paradossalmente, anche i giovani. Ovviamente stiamo facendo un’inquadratura di massima, escludente le eccezioni che, grazie a Dio e all’opera di intelligenti operatori pastorali, non mancano mai.
Infatti i giovani della nostra società hanno in genere soldi da spendere (perfino troppi grazie alla politica del figlio unico!), sono coccolati e blanditi dal marketing, osannati dai mass media che ne fanno il prototipo della persona ideale, carezzati da un salutismo maniacale minuzioso ed esigente, ma… Ma sono afflitti da una povertà tutta particolare: la mancanza di orientamento, appunto! Questo dipende dal fatto che vivono in una società pluralista e complessa dove gli stimoli, le proposte, le visuali di “valori”, sono spesso contraddittorie, e c’è una marcata carenza di “padri” e di “modelli” (non per nulla gli ultimi Papi hanno avuto tanta entratura presso di loro). Di qui il loro ripiegamento su uno stanco consumismo, la riduzione dei valori a esperienze soggettivistico-epidermiche come quelle suelencate. Di qui il loro bisogno di stringersi fra loro come per darsi una consistenza (Ferrarotti) che fughi il terrore della solitudine (cellulare e SMS, smartphone, twitter, facebook, muretto, gruppo, banda, isolamento musicale in pubblico…) e il terrore del salutare silenzio che li costringerebbe alle domande di senso.
Giovani: categoria “a rischio”.
Il Documento CEI, citato, addita dunque i giovani disorientati tra le categorie più vulnerabili. A rischio cioè di essere affascinati da nuove proposte religiose o sedicenti tali. Sia che si tratti di giovani non praticanti (e in tal caso avremmo una sorta di fascino di passare dalle… cipolle d’Egitto alla terra promessa) sia che lo siano ma ad un livello non impegnato (e in tal caso sarebbe il fascino di diventare protagonisti, un gruppo elitario, ricevere una promozione dall’essere trascinato a diventare trascinatore, costruttore di una nuova realtà). Non è senza ragione che i Vescovi abbiano scelto come orientamento pastorale per il decennio 2010-2020 il progetto dell’educazione. (3) Senza dire dell’invito pressante a ritornare al CCC e ai Documenti del Vaticano II, cioè a farsi guidare da una Mater che è tra l’altro Magistra in orientamento.
L’offerta delle sètte e MRA ai giovani: un senso
I dirigenti di questi MRA e sètte sanno benissimo che i giovani, al fondo, restano persone umane, capaci di capire e di entusiasmarsi per ideali superiori. E, crollati (diciamo dal ’68 tanto per darci una data) i grandi miti del laicismo, la religione – che è l’unica da dare quella risposta di senso che non rimandi ad altre – è stata scelta da questi MRA come leva/esca per offrire loro una speranza che sappia di “liberazione”.
Anche se è evidente che vari MRA sono creati a tavolino con scopo di lucro, dialogo e prudenza impongono di supporre, fino a prova contraria, che per la maggiioranza di essi, vuoi chi dà loro l’imput, vuoi chi se ne fa seguance, sia mosso come primo impulso da un autentico desiderio di liberazione dai condizionamenti del vizio, dalla scoperta di un orizzonte spirituale e/o di una vita che vada oltre il deprimente “Ed è subito sera” di quasimodiana memoria. (2)
Sembrerebbe quasi che i MRA si siano appuntato quel monito-luce indirizzato da Raul Follereau ai giovani quando disse: “La più grande disgrazia che potrebbe capitarvi sarebbe quella di non essere utili a nessuno”. E quando il non sentirsi utile comprende anche la propria vita, vuol dire che è andata in crisi la risposta sul senso globale e finale di essa. Peggio ancora, sembra che il disorientamento e la continuità degli stimoli estroversori, siano riusciti perfino ad attutire se non a far trascurare del tutto la domanda di senso che, in situazioni normali, trova spontaneamente i suoi momenti per affacciarsi; siano essi quelli dolorosi che quelli – e dovrebbero essere quelli da valorizzare di preferenza – lieti della vita. Insomma a questi giovani succede che, trascinati dalle emozioni del momento, seguono il caleidoscopio esperienziale nonostante che “in fundo” non trovino mai il “dulcis” appagante sperato, ma l’amarezza di una tenace insoddisfazione.
In questa situazione un’offerta di senso, di perché, di valori che entusiasmino, foss’anche in forma di surrogato rispetto al caffé, che altrove esiste ma non è stato mai gustato a fondo, può far breccia, incuriosire e, se “ben confezionata”, coinvolgere.
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NOTE
1) “Il gruppo più vulnerabile e – sembra – il più colpito è soprattutto quello dei giovani. Più essi sono “senza legami”, disoccupati, inattivi nella vita parrocchiale o nel lavoro parrocchiale volontario, provenienti da un ambiente instabile o appartenenti a minoranze etniche, dimoranti in luoghi piuttosto lontani dall’influsso della Chiesa ecc., più essi sembrano essere un bersaglio adatto al proselitismo dei nuovi movimenti e gruppi.” (Il fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi: sfida pastorale, n. 1.4)
2) “Pochissimi sembrano entrare in una sètta per motivi disonesti. L’accusa maggiore che si può rivolgere alle sètte è forse che spesso esse abusano delle buon
e intenzioni e dei desideri delle persone insoddisfatte. Esse ottengono maggiore successo là dove la società o la Chiesa non sono riuscite a rispondere a quelle intenzioni o a quei desideri.” (ibid.)
3) Cf. CEI, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020.