Raimondo Lullo e l'evangelizzazione

Alcuni brani del cardinale Paul Josef Cordes sul filosofo, mistico e missionario catalano

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In occasione dell’Anno della fede, in cui un aspetto importante è la riscoperta della trasmissione del Vangelo, l’incontro annuale del Centro Italiano di Lullismo, che si svolge domani, venerdì 17 maggio, alle ore 15.30, presso la Pontificia Università Antonianum, pone attenzione all’opera e al pensiero di Raimondo Lullo (1235-1316) in merito alla predicazione.

Per tale motivo interviene il prof Josep Peranau i Espelt con una comunicazione inerente a Raimondo Lullo tra predicazione e evangelizzazionein cui focalizza il “metodo missionario” esposto negli scritti lulliani.

Il cardinal Paul Josef Cordes, invece, tratta della Contemplazione e missione in Raimondo Lullocome contributo alla riconsiderazione del nesso tra mistica e apostolato nel pensiero del Maiorchino. Il suddetto cardinale nel suo recente libro Sulle orme di Dio. I grandi mistici di ieri e di oggi, LEV, Città del Vaticano 2012, dedica un capitolo proprio a Raimondo Lullo. Amico di Gesù e incessante araldo, di cui proponiamo qui alcuni brani.

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Raimondo, il Trovatore, nella scuola dell’amore resta un cavaliere: non si accontenta dei sentimenti, ma resta ancorato alle verificabili condizioni e alla concreta pretesa che l’amore impone a colui che ama. Volendo piacere all’amato, l’amore aumenta in proporzione alla disponibilità di colui che ama di lasciarsi forgiare; è guidato dalla determinazione e si compie nel donarsi. […] Il cantore non abbellisce nulla, vedendo se stesso indegno della sua chiamata. Il cavaliere non fa il ruffiano con nessuno. Sebbene costantemente dipendente da altri, neppure da forestiero o pellegrino si dà al servilismo.

Nel personaggio di Blanquerna egli parla alla coscienza dell’imperatore; lascia una “Canzone del malcontento”, per dar voce al suo dolore davanti ai pastori consacrati e invita i peccatori a convertirsi, non risparmiando neppure se stesso, in quanto riconosce la sua stessa colpa. […] Solo Dio è il suo compagno di viaggio, il Tu della propria identità. Raimondo incomincia la sua prima opera a noi pervenuta subito dopo la sua conversione. Essa consta di circa 3000 pagine e la intitola “Il libro della contemplazione di Dio”. Stile e metodo sono determinati dal suo continuo dialogo con il Signore Dio, ed è percorso da una grande quantità di notizie autobiografiche. Egli scrive: «Ah, Gesù Cristo, nato dalla nostra Santa Vergine Maria! Siete stato saggio, Signore, all’inizio, a metà e alla fine dei giorni che avete vissuto in questo mondo; io invece sono stato uno stolto fin dall’inizio dei miei giorni, fino a che, dopo che erano trascorsi trent’anni, incominciai a ricordarmi della Vostra Sapienza, a desiderare la Vostra lode, e a commemorare la Vostra Passione».

Anche se l’opera filosofica del beato documenta a volte una vertiginosa capacità di astrazione, le sue affermazioni in materia di fede si fissano in un rapporto d’amicizia intimo e personale con Gesù Cristo. Per tale motivo è considerato un catecheta; egli conduce il lettore nel suo stesso incontro con Dio, lo conquista e così gli insegna ad amare. […] Di grande attualità è oggi in modo particolare la sua personalizzazione del contenuto di fede. Amare Dio e Gesù Cristo significa anche cercarli con il cuore. Puntare la luce dell’annuncio su di loro e avvicinare la fede all’anima può risvegliare e rinvigorire quelle forze che generalmente caratterizzano una riuscita relazione tra un io e un tu: la fiducia e la perseveranza; mentre la paura e l’incostanza la indebolisce. […] Quando Raimondo, nove anni dopo l’incontro con Cristo, riconobbe più chiaramente il suo compito, si divise da sua moglie Blanca e dai suoi figli Dominikus e Magdalena e si ritirò in un eremo. Alla famiglia venne mandato un procuratore, che doveva amministrare, proteggere e difendere i beni da lui lasciati. Il prescelto prese dunque una decisione che nella sua radicalità risulta umanamente sgradevole. La sua partenza è documentata: non avendo un cuore di pietra, egli non ruppe per nulla facilmente o definitivamente con i suoi cari, ma si sentì sempre legato a loro. Quando nel 1299 su preghiera di re Giacomo II scrisse il “Libro della preghiera”, lo dedicò espressamente anche a sua moglie Blanca. E nel testamento del 1313 tenne conto di lei per i beni rimasti. L’amore umano verso i suoi cari non si era spento, ma a causa della sua chiamata e dell’amore più grande per Dio accettò il dolore della lontananza. […] Vi è qualcosa di coinvolgente nell’amore di Raimondo per Cristo. In quanto mistico, egli non ha soffocato la sua sensibilità naturale, né ha spento la sua fame creaturale o il suo desiderio terreno. E l’amore di Cristo non l’ha conquistato con facilità; gli ha chiesto invece un grande impegno. Ma il premio è in grado di compensare tutto, perché in gioco c’è quanto di definitivo eccelle sopra ogni cosa.

(Tratto da: Paul Josef Cordes, Sulle orme di Dio. I grandi mistici di ieri e di oggi, LEV, Città del Vaticano 2012)

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ZENIT Staff

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