Made in Jersey

Finalmente un serial tv in cui le famiglie degli italoamericani non vengono descritte come mafiose

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Martina Garretti è una giovane donna del New Jersey di origine italiana che grazie alla sua tenacia e nonostante le origini modeste, è riuscita a farsi assumere in un importante studio legale di New York iniziando da subito a risolvere casi anche complessi. I suoi modi schietti ma sinceri riescono a far breccia nel nuovo ambiente di lavoro, formale è un po’ snob e destano simpatia le continue interruzioni sul lavoro che lei subisce da una famiglia numerosa e invadente.

La protagonista è molto simpatica e si fa notare per un comportamento onesto verso tutti i colleghi e l’attaccamento alla famiglia di origine. I casi legali sono ben sviluppati, ma non riescono a sottrarsi a una certa prevedibilità che fanno perdere la suspence per l’inatteso

E’ pensiero comune ritenere, anche se probabilmente non è più vero, che nel New Jersey vivano molti americani di origine italiana. Il serial TV Made in Jersey, in onda da aprile 2013 su Fox Life, già andato in onda in U.S.A. sulla rete CBS nel 2012, ha come protagonista Martina Garretti, una italoamericana.

Non possiamo che applaudire al fatto che finalmente essere italiani non è più sinonimo di mafioso (I Soprano insegna) ma Martina, cresciuta in una famiglia numerosa di semplici origini, è riuscita con la sua tenacia a diventare avvocato e nella prima puntata la vediamo entrare, come neo assunta, in un prestigioso studio legale di New York. Sono lontani da lei anche i comportamenti rozzi che hanno costituito il successo dei protagonisti di Jersey Shore, giovani cafoni e tamarri di quello stato.

Il suo look inoltre è assolutamente professionale e non tradisce nulla delle sue origini: tailleur d’ordinanaza, borsa business e gonna sopra il ginocchio, unica concessione alla sua giovane età. Dov’è allora la sua italianità, come si può impostare un serial che possa diventare interessante proprio perché la protagonista è un’italiana?

La risposta è nella famiglia. Un italiano si identifica in U.S.A. (almeno lì, meno male) per una sana, antica consuetudine a mantenere saldi i rapporti con i genitori e i fratelli, a non perdere i legami con la famiglia di origine anche quando si è diventati adulti.

La Garretti è la più piccola di una famiglia numerosa, dove la componente femminile ha la maggioranza: due sorelle, una sposata e l’altra divorziata, un fratello perdigiorno, una madre onnipresente ed impicciona, un padre che a stento riesce a infilare una parola nelle loro conversazioni.

Ad ogni puntata viene presentato un micro evento della famiglia: se Bonnie, la sorella divorziata invita a pranzo il suo nuovo fidanzato, subito dopo si organizza una riunione di famiglia per giudicare se è l’uomo più adatto; se il figlio della sorella maggiore ruba un giubbotto in un negozio e il proprietario è deciso a sporgere denuncia, Martina riesce a dissuaderlo offrendogli in cambio assistenza legale gratuita per un suo contenzioso. Se Martina non ha ancora ricevuto la prima busta-paga dallo studio, l’intraprendente mamma va direttamente a parlare con Donovan Stark, il titolare dello studio.

L’italianità va ricercata anche nei modi estroversi, schietti e allegri della protagonista (interpretata in realtà da Janet Montgomery, un’attrice britannica) che fanno da contrasto con i modi distaccati e un po’ snob dell’ambiente dello studio.

Non è da escludere che sia stato costruito di proposito un confronto, puntata dopo puntata, fra i valori portanti dei due mondi: se Martina resta indignata dal comportamento della madre di un suo cliente che ha abbandonato il figlio all’età di otto anni e solidalizza con la sorella nel dissuadere la nipote adolescente dal farsi un tatuaggio, veniamo a sapere che due colleghi maschi dello studio sono riusciti ad ottenere l’adozione di un bambino coreano mentre una cliente altolocata dello studio, essendo sterile, è riuscita a trovare una madre surrogata.

Le parentesi private sono però molto brevi, perché il cuore di ogni puntata è costituito dalla risoluzione di un legal thriller. La perspicace e tenace Martina riesce ogni volta a risolvere un caso che si presenta più complesso del previsto, spesso in contrasto di altri suoi colleghi che si accontenterebbero di un compromesso legale.

Se i dettagli investigativi sono sviluppati con buone competenze legali, la serie si adagia sulla sicurezza di un meccanismo ben oliato, che alla fine rende tutto scontato: il caso viene risolto, Martina riceve l’apprezzamento del capo dello studio, le stesse colleghe, che all’inizio l’avevano ostacolata, finiscono per complimentarsi con lei e la puntata si conclude con il primo piano di Martina che sorride radiosa, mentre i suoi occhi dicono: “quanto sono stata brava”.

Il serial non ha avuto successo, almeno in U.S.A e si è fermato all’ottava puntata. Progettato per un pubblico prevalentemente femminile, si è forse pensato che questo tipo di audience avrebbe gradito la valorizzazione della famiglia e un ambiente di lavoro dove prevale la collaborazione e un’onesta attribuzione di meriti. Forse l’errore è stato proprio qui: non c’è cattiveria nelle storie, non c’è sesso (Martina si occupa solo di lavoro e non ha un fidanzato) né violenza.

Indubbiamente non ha aiutato una certa ripetitività nei plot delle varie puntate che forse ha contribuito a far sì che il “buono” diventasse “buonismo”. Probabilmente il “buono” deve nascere, per interessare, dal contrasto con il “cattivo”.

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Titolo Originale: Made in Jersey
Paese: USA
Anno: 2012
Sceneggiatura: Dana Calvo
Produzione: FanFare Productions, Sony Pictures Television
Durata: 8 puntate di 42 minuti
Interpreti: Janet Montgomery, Kristoffer Polaha, Kyle MacLachlan, Megalyn Echikunwoke

Per ogni approfondimento http://www.familycinematv.it/

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Franco Olearo

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