Noi siamo esseri finiti. Solo la fede, attraverso la preghiera ci libera da questo limite, facendo lievitare le nostre potenzialità interiori. Essa ci illumina, rafforzandoci e sostenendoci. Ci fa andare oltre! Nell’anno della fede, per noi cristiani necessita un supplemento d’amore e di carità, verso chi non crede, passando da una revisione rigorosa e serena della nostra vita. Più saremo con il cuore in pace, più avremo la forza di osare, senza nasconderci alle prime difficoltà.
Su quest’ultimo aspetto mi ha colpito la chiarezza di pensiero del prof. Ricardo Piñero Moral, decano di filosofia all’Università di Salamanca, in una sua Lectio Magistralis sui “Volti del Sapere” (Scienza, filosofia e Fede), in occasione dell’avvio del Progetto UniVersus 2012, curato dal Centro Studi Verbum e del Movimento Apostolico. L’uomo di cultura ha “rimproverato” ai cristiani di presentarsi agli altri, in tante circostanze, con un atteggiamento sfuggente e poco incisivo, privo della gioia che deve dare chi è in Cristo. Un modo di essere che non aiuta il cammino, di una nuova e rinnovata evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana, come invece richiesta dalla XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.
C’è bisogno allora di una fraternità più alta e di un’armonia più “contagiosa” all’esterno, tra singoli credenti e tra i numerosi movimenti della Chiesa che, nella necessaria diversità, sono espressione di un’unica verità. In questa nuovo tempo la loro azione di catechesi e di presenza attiva nelle parrocchie e sul territorio, diventa essenziale e insostituibile, per rispondere alle attese dei Vescovi della Chiesa e quindi al Vangelo di nostro Signore. Papa Francesco lo ripete ogni giorno, con la sua straordinaria chiarezza!
Alziamo allora di più gli occhi al cielo e ricordiamo sempre che un non credente, comunque nostro fratello, può rimanere tale per colpa della nostra tiepidezza. Il silenzio o la rassegnazione di fronte a coloro che respingono la nostra fede o si meravigliano del vigore che essa esprime, pesano come un macigno sulla nostra salvezza e su quella degli altri. Di solito, per chi ci sta di fronte, noi siamo collocati in un quadro sociale inamovibile, che non ammette per nessuno un qualsiasi tipo di cambiamento, specie se rivoluziona il normale modo di essere.
Dà molto fastidio, a coloro che fuggono di solito dal mettersi in discussione, la trasformazione sociale e spirituale di chi è in grado di rompere i falsi equilibri che ci circondano. Si preferisce con ipocrisia una vita scontata e assunta ad un relativismo strisciante. L’uomo pertanto rischia di consumarsi, senza mai conoscere la sua relazione con Dio, privandosi di varcare il suo recinto finito. Un “morto vivente”, magari tecnologico, privo però di vita vera.
Noi cristiani dinnanzi a chi ci impedisce di mostrare la nostra fede dobbiamo essere come il cieco di Gerico: “…molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: ‘Figlio di Davide, abbi pietà di me'”. Il cieco non si interessa di quanti lo ammoniscono, lui grida più forte, tanto forte da essere ascoltato da Gesù Signore. La sua voce supera per intensità tutte le altre voci inutili, sceme, infruttuose, vane, che risuonano attorno a Cristo. Spesso si vuole far morire la fede nel nostro cuore, ma noi non possiamo svigorirci.
La cristianità non ammette “un tavolo di mediazione istituzionale”! Dice Benedetto VXI: “Il nostro tempo richiede cristiani che siano stati afferrati da Cristo, che crescano nella fede grazie alla familiarità con la Sacra Scrittura e i Sacramenti. Persone che siano quasi un libro aperto che narra l’esperienza della vita nuova nello Spirito, la presenza di quel Dio che ci sorregge nel cammino e ci apre alla vita che non avrà mai fine”. Solo così, anche chi ora respinge la fede altrui, potrà, domani, farla sua!
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