L’ingresso nel mondo del lavoro rappresenta un passaggio difficile nella vita dei giovani. E’ il momento in cui ci si sposta dalla dimensione dolce e ovattata della famiglia, della scuola e dell’università a quella più dura e traumatizzante della vita reale.
In questa fase di passaggio il principale rischio per i ragazzi è quello di lasciarsi influenzare dai falsi miti imposti dalla mentalità imperante. Il più ingannevole è certamente quello del “dio denaro”: l’idea che il lavoro non sia altro che uno strumento per fare soldi a palate, pensando esclusivamente al profitto e dimenticando che esistono gli altri.
Alla base di questo comportamento ci sono due grandi tentazioni: il relativismo morale e l’arrivismo. “Relativismo morale” significa credersi liberi di fare ciò che si vuole, pur di accumulare denaro. Ma questo è fortemente in contrasto con gli insegnamenti di Gesù. La “legge” universale dei Cristiani non è “Fai ciò che vuoi”. Bensì: “Ama, e fai ciò che vuoi”. Prima del “Fai ciò che vuoi” c’è l’imperativo “Ama!”, che vuol dire: “Non essere egoista! Ricordati che esistono gli altri! Ama il prossimo tuo come te stesso!”.
In questo imperativo, “Ama”, è racchiuso il giusto spirito che dovrebbe avere un giovane nell’avviare un’attività di lavoro in proprio. Amare gli altri significa sentirsi parte della società in cui viviamo. E quindi: rispettare le leggi, fare contratti regolari ai propri dipendenti, pagare le tasse… In poche parole: comportarsi bene e ricordarsi sempre che il denaro non può mettersi al posto di Dio.
Purtroppo, oggi, siamo invasi da modelli decisamente diabolici. Il punto d’arrivo delle nuove generazioni, secondo certi cattivi maestri, dovrebbe essere il manager senza scrupoli, che calpesta tutti per fare carriera e sniffa cocaina in certi locali esclusivi.
Il peccato ed il male, ovviamente, sono sempre esistiti e sempre esisteranno nella storia dell’umanità. Ma l’importante è non perdere la presa di coscienza del proprio peccato. Oggi si sente dire spesso: “Siccome tutti fanno i furbi, faccio il furbo anch’io”. Ed è questo il relativismo morale: non capire più che si sta commettendo un grave peccato. Si perde la consapevolezza di ciò che è bene e ciò che male.
Invece è importante capire che, nel mondo del lavoro, non si devono calpestare gli altri e non bisogna cercare ad ogni costo il denaro facile.
Con la scusa di favorire la crescita economica, si studiano a tavolino rapporti di lavoro sempre meno impegnativi. Nascono, così, i lavoratori “usa e getta”. Finché sono utili, si usano. Poi si buttano via. Tutto questo è devastante, soprattutto per chi desidera creare una famiglia. La precarietà non aiuta certamente i giovani a sperare nel futuro. Come ci si può sposare e mettere al mondo dei figli, se un datore di lavoro ha la libertà di spremerti come un limone e poi sbatterti fuori quando vuole?
Un’errata concezione della globalizzazione, basata sulla dittatura dell’economia, sta esportanto questi modelli di ingiustizia nel mondo. Ci sono imprenditori che creano aziende in Paesi dove i lavoratori non hanno le giuste tutele e possono essere facilmente sfruttati. Senza contare, poi, il tristissimo fenomeno del lavoro minorile.
L’obiettivo è sempre lo stesso: il denaro facile. Arricchirsi calpestando il prossimo. cE’ necessario, una volta per tutte, reagire e combattere con forza tutte queste ingiustizie. E’ importante recuperare il senso più autentico del lavoro come aiuto solidale allo sviluppo della società.
I giovani del terzo millennio possono dare un grande contributo a questo cambiamento, rifiutando di inginocchiarsi di fronte ai nuovi altari pagani dell’arrivismo selvaggio. Al profumo del denaro facile, impariamo a preferire il valore più autentico del denaro onestamente guadagnato e sudato. Sarà un grande dono per tutti.