Gent.mo Padre Piero Gheddo,
nella speranza di ricevere la sua disponibilità e un po’ del suo tempo, la contatto per chiederle una sua riflessione sul “silenzio”. Comprendo che la richiesta può sembrare estemporanea e che l’argomento si apre ad innumerevoli piste di valutazione, ma avrei il piacere di potermi confrontare con il suo pensiero riguardo a questo tema.
Sono uno studente universitario che sta portando avanti uno studio personale su questo argomento, confrontando le riflessioni di vari esponenti della cultura italiana ed internazionale. In questo contesto sarei felice di poter avere anche il suo contributo per potermi così accostare alla sua riflessione che, ne sono certo, sarà ricca di spunti per la ricerca e la crescita personale.
Confidando nella sua risposta, le porgo i miei più cordiali saluti.
Michele Maggio
Caro amico,
grazie della sua richiesta. Per me cristiano, fare silenzio significa liberarmi dalle distrazioni e preoccupazioni quotidiane per cercare Dio, per mettermi in contatto con Dio nella preghiera, nella meditazione della Parola di Dio. Se parlo troppo, se mi distraggo continuamente seguendo mille pensieri, idee, notizie, futilità, “gossip” che il nostro mondo, e specialmente giornali, televisione e internet, ci offrono continuamente, Dio non lo incontro perché il mio pensiero e il mio cuore sono troppo rivolti ad altro; e anche se prego in questa situazione, la preghiera può essere una formula meccanica e vuota, non un dialogo con Dio. San Tommaso definisce la preghiera: “Ascensus mentis et cordis in Deum” (elevazione della mente e del cuore in Dio), per amarlo, ringraziarlo e chiedergli quanto mi necessario.
Debbo fare silenzio per mettere Dio al primo posto nella mia vita. Vengo da Dio e debbo tornare a Dio. Tutto il resto è precario, passeggero, come scrive San Paolo, “perché passa la scena di questo mondo” Questo non significa che non dobbiamo interessarci e appassionarci alle vicende del mondo che ci circonda, per compiere bene il nostro dovere. Ma significa che debbo dare al silenzio e alla preghiera il tempo necessario per non perdere il contatto con il Padre nostro che sta nei cieli.
Dio si rivela solo a chi è vuoto di se stesso, perché se uno è troppo pieno di sé, se uno imposta la sua vita sull’autosufficienza e sulla superbia; se uno vive una vita disordinata e in continua agitazione non riesce più a sentire la voce di Dio, l’affetto di Dio, di Gesù Cristo, le ispirazioni dello Spirito Santo.
Nella vita cristiana bisogna imparare a fare silenzio. Gesù, quando pregava, saliva sul monte, andava in luoghi deserti, si allontanava dai suoi discepoli. Voleva essere solo con il Padre e lo Spirito, per poter ricevere, come uomo, quel conforto di cui sentiva di aver bisogno, ad esempio nell’orto degli ulivi prima della sua Passione e morte in Croce, per rafforzare la sua fede, sempre come uomo, nella Risurrezione. Allora, dopo la preghiera durante la quale Dio è entrato in lui, Gesù è pronto ad affrontare gli inviati del Sinedrio che vengono ad arrestarlo. Anche per noi, se vogliamo che Dio sia presente nella nostra mente e nel nostro cuore in tutti i momenti della vita, specialmente nei più difficili e dolorosi, dobbiamo imparare a fare silenzio per poter incontrare e amare nella preghiera il nostro Padre che sta nei cieli.
Il dott. Marcello Candia (1916-1983) era un ricco industriale milanese che a 48 anni ha venduto la sua industria chimica e nel 1964 è venuto con noi missionari del Pime in Amazzonia, dove ha speso tutte le sue sostanze e la sua vita per costruire e mantenere un grande ospedale e parecchie altre opere di carità e di promozione umana per i poveri e i lebbrosi.
Quando è morto ne ho scritto la biografia (Marcello de lebbrosi, De Agostini 1985) e ho intervistato, fra gli altri, la sua segretaria nell’industria, Mariangela Toncini. La quale mi diceva che, dopo un furioso incendio, nel 1955-1956, Marcello aveva ricostruito la fabbrica fondata dal padre a Milano, che poi ha venduto (assieme ad altri tre stabilimenti) quando è venuto come volontario in Amazzonia.
Nella nuova fabbrica, in un angolo dell’edificio vicino al muro di cinta non visibile da nessuno, si era fatto costruire una panca di cemento con un tavolo e una copertura rotonda pure in cemento. La segretaria gli chiede a cosa serve quella panca e Marcello le risponde: “Vede, come lei sa io sono sempre super occupato, non ho mai un momento libero. Ho capito, che se vado avanti così, non riesco più a pregare bene, non sento più Dio presente nella mia vita, che mi dà la forza di continuare. Quindi, ogni tanto, mi prendo un po’ di tempo per andare a pregare nel mio piccolo monastero dove nessuno mi vede e mi disturba”.
Infatti, quell’angolo della preghiera, isolato dal mondo, ha prodotto i suoi frutti: Marcello Candia è Servo di Dio, cioè in cammino verso la beatificazione perché, come diceva il lebbroso rappresentante dei 1200 lebbrosi di Marituba: “Noi preghiamo il dottor Candia che era un santo, perchè non solo ci ha portato i suoi soldi che hanno migliorato la nostra vita, ma ci ha testimoniato la bontà e la misericordia di Dio, che ci danno la forza di accettare la nostra malattia” (chi desidera una copia di “Marcello dei lebbrosi” mi scriva e lo mando, pagg. 328, Euro 15).
La saluto cordialmente e le auguro buona domenica. Suo padre Piero Gheddo, missionario del Pime, Milano.
(Articolo tratto dal blog “ARMAGHEDDO. L’attualità vista da padre Piero Gheddo, missionario-giornalista”. L’indirizzo del sito ufficiale di padre Gheddo è http://www.gheddopiero.it/)