Riprendiamo di seguito l’editoriale firmato da monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, pubblicato sull’edizione di domenica 5 maggio del quotidiano Il Sole 24 Ore (pp. 1 e 8).
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“Fra le più alte partecipazioni di pubblico mai registrate”. Così commentava la riuscita dell’evento il responsabile della Konrad Adenauer Foundation in Israele, sponsor del convegno internazionale tenutosi in questi giorni a Gerusalemme su “Giovanni XXIII e il popolo ebraico” a cinquant’anni dalla morte del “Papa buono”. Ciò che ha sorpreso non è stata tanto la presenza di studiosi di ogni parte del mondo, cui si aggiungeva quella dei membri della commissione congiunta della Santa Sede e del Gran Rabbinato d’Israele, quanto l’interesse che l’iniziativa ha riscosso in ambito ebraico. In realtà, è dal Venerdì Santo del 1959, quando Papa Giovanni da non molto eletto, sorprendendo tutti, aveva voluto che si eliminasse l’aggettivo “perfidi” davanti al termine “Giudei” nella preghiera per il popolo ebraico, che una nuova era ha avuto inizio nelle relazioni fra il popolo da cui è venuto Gesù, e di cui Egli fa parte per sempre, e la Chiesa da Lui voluta, affidata agli apostoli, in particolare a Pietro, il pescatore di Galilea, e ai loro successori. Dall’insegnamento del disprezzo, che troppo a lungo aveva ispirato l’atteggiamento della maggioranza dei cristiani nei riguardi d’Israele, si è passati al rispetto e all’amicizia fra chi riconosce nell’alleanza mai revocata e nel popolo dei Patriarchi e dei Profeti la radice santa della Chiesa – come fa Paolo nella lettera ai Romani (capitolo 11) – e questo stesso popolo. L’Apostolo sottolinea, inoltre, che non è l’albero a portare la radice, ma questa a portare l’albero! Da una tale consapevolezza deriva un rapporto di coappartenenza e di fiducia tra cristiani ed ebrei, consacrato dal decreto Nostra Aetate del Concilio Vaticano II, di cui è stato da poco celebrato il cinquantesimo anniversario dall’apertura. Non si può essere discepoli di Gesù e amarlo se non si ama al contempo il popolo da cui è venuto!
Nel clima positivo e stimolante del Convegno anche i lavori ad esso seguiti della Commissione congiunta fra la Santa Sede e il Gran Rabbinato d’Israele si sono occupati dell’attualità del messaggio di Papa Giovanni e del Concilio. Se da una parte si è constatata la straordinaria crescita nella fiducia reciproca fra cristiani ed ebrei a livello ufficiale, grazie anche alla testimonianza dei Papi succedutisi a Roncalli e oggi in particolare ai rapporti che da sempre legano Papa Francesco alla comunità ebraica, molto numerosa a Buenos Aires, dall’altra si è osservato come ci sia ancora bisogno di grande impegno perché la stima reciproca e il rifiuto convinto di ogni antisemitismo pervadano mentalità e costumi. La visita del Presidente Simon Peres al Papa – coincidente con l’incontro di Gerusalemme – e l’invito rivolto al Vescovo di Roma a visitare Israele, stimolano cristiani ed ebrei a un rinnovato sforzo volto a “educare le rispettive comunità riguardo alla natura, ai contenuti e al significato dei cambiamenti” intercorsi da cinquant’anni a questa parte, come afferma il Comunicato congiunto della riunione della commissione fra la Santa Sede e il Gran Rabbinato. “Il rispetto reciproco e l’amicizia che si è stabilita fra noi in questi anni” – aggiunge il testo – “implicano la responsabilità… di difendere e promuovere reciprocamente il bene dell’altra comunità. Ciò richiede di reagire ai pregiudizi e al disprezzo, in particolare contro ebrei e cristiani. Specialmente là dove una comunità è maggioritaria e ispira l’ethos di una nazione, e l’altra è minoranza vulnerabile, la responsabilità della prima è ancora maggiore”. La speranza condivisa è che questo spirito di collaborazione, di rispetto e di comune servizio alla giustizia e alla pace possa estendersi a ogni relazione all’altro: da quella fra Israeliani e Palestinesi, a quella con lo straniero e il diverso da noi e in ogni parte del mondo, fino a quella – per chiudere con uno sguardo all’attualità italiana – fra avversari politici, abituati fino a ieri al reciproco rigetto e chiamati oggi dalle drammatiche urgenze della crisi economico – sociale, di cui ha saputo farsi voce autorevole il Capo dello Stato, a collaborare con onestà e disponibilità reciproca per il bene comune. A tutti i livelli, insomma, finché non ci sarà riconoscimento e valorizzazione della dignità dell’altro e del diverso, non potranno esserci né giustizia, né crescita, né pace. II Grande Codice dell’ethos che ci unisce – la Bibbia – ne é il testimone assoluto, di cui possono fidarsi tanto gli ebrei, quanto i cristiani, quanto tutti gli uomini e le donne di buona volontà.