Suore madri, non "zitelle": così funziona la Chiesa

Papa Francesco esorta le 800 suore di 1900 ordini religiosi ricevute oggi in Udienza a vivere il proprio carisma in obbedienza, povertà e in una castità “feconda”

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“La consacrata è madre, deve essere madre e non ‘zitella’!”. Una frase da prima pagina quella pronunciata oggi da Papa Francesco, davanti alle 800 suore di 75 Paesi e di 1900 ordini religiose, partecipanti all’Assemblea plenaria dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali (Uisg) conclusasi ieri a Roma. Le religiose, provenienti da oltre 75 paesi, sono state ricevute questa mattina, prima dell’Udienza generale, in Aula Paolo VI.

A parte l’espressione da ‘titolone’, c’è però molto di più nel discorso del Pontefice.

“Che cosa sarebbe la Chiesa senza di voi? Le mancherebbe maternità, affetto, tenerezza!” ha detto loro il Santo Padre, ringraziandole e incoraggiandole “affinché la vita consacrata sia sempre una luce nel cammino della Chiesa”. Ha poi parlato di servizio, di obbedienza, di adorazione, povertà e castità come “carisma prezioso, che allarga la libertà del dono a Dio e agli altri, con la tenerezza, la misericordia, la vicinanza di Cristo”.

“La castità per il Regno dei Cieli – ha affermato il Pontefice – mostra come l’affettività ha il suo posto nella libertà matura e diventa un segno del mondo futuro, per far risplendere sempre il primato di Dio”. Quella di cui parla il Papa è, però, una “castità feconda”, che “genera figli spirituali nella Chiesa”. Ciò spiega la frase “la consacrata deve essere madre e non zitella!”.

Papa Francesco ha poi ricordato le parole di Gesù nell’Ultima Cena, quando disse agli Apostoli: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16). Parole – ha spiegato – “che ricordano a tutti, non solo a noi sacerdoti, che la vocazione è sempre una iniziativa di Dio”.

“È Cristo che vi ha chiamate a seguirlo nella vita consacrata – ha sottolineato – e questo significa compiere continuamente un ‘esodo’ da voi stesse per centrare la vostra esistenza su Cristo e sul suo Vangelo, sulla volontà di Dio, spogliandovi dei vostri progetti” .

Per andare avanti in questo ‘esodo’, però, sono neccessarie due condizioni secondo il Papa: “Adorare il Signore e servire gli altri”; due atteggiamenti – ha detto – “che non si possono separare, ma che devono andare sempre insieme”.

Il Santo Padre ha poi ricordato “i tre cardini” su cui si fonda l’esistenza stessa di chi ha abbracciato la vita consacrata. Innanzitutto, l’obbedienza “come ascolto della volontà di Dio, nella mozione interiore dello Spirito Santo autenticata dalla Chiesa”, accettando che essa “passi anche attraverso le mediazioni umane”. Poi la povertà, “come superamento di ogni egoismo nella logica del Vangelo che insegna a confidare nella Provvidenza di Dio”, e “come indicazione a tutta la Chiesa che non siamo noi a costruire il Regno di Dio, non sono i mezzi umani che lo fanno crescere, ma è primariamente la potenza, la grazia del Signore, che opera attraverso la nostra debolezza”.

Questa povertà, ha insistito Papa Francesco, “insegna la solidarietà, la condivisione e la carità” e “si esprime anche in una sobrietà e gioia dell’essenziale, per mettere in guardia dagli idoli materiali che offuscano il senso autentico della vita”. Non si tratta però di una povertà “teorica” che “non ci serve”, bensì di una povertà che “si impara con gli umili, i poveri, gli ammalati e tutti quelli che sono nelle periferie esistenziali della vita” ha aggiunto a braccio.

E a braccio, il Papa ha parlato anche di castità, ribadendo: “E’ importante questa maternità della vita consacrata, questa fecondità. Questa gioia della fecondità spirituale animi la vostra esistenza; siate madri, come figura di Maria Madre e della Chiesa Madre. Non si può capire Maria senza la sua maternità; non si può capire la Chiesa senza la sua maternità. E voi siete icona di Maria e della Chiesa”.

Soffermandosi poi sul tema della Plenaria, “Il servizio dell’autorità secondo il Vangelo”, il Pontefice ha approfondito il significato delle parole ‘servizio’ e ‘autorita’. “Se per l’uomo spesso autorità è sinonimo di possesso, di dominio, di successo, per Dio autorità e sempre sinonimo di servizio, di umiltà, di amore” ha affermato, richiamando il pensiero di Benedetto XVI.

In caso contrario, il concetto di autorità viene danneggiato, così come l’essenza stessa della Chiesa. “Pensiamo al danno – ha detto il Papa – che arrecano al Popolo di Dio gli uomini e le donne di Chiesa che sono carrieristi, arrampicatori, che ‘usano’ il popolo, la Chiesa, i fratelli e le sorelle – quelli che dovrebbero servire – come trampolino per i propri interessi e le ambizioni personali. Questi fanno un danno grande alla Chiesa!”.

L’esortazione è quindi ad “esercitare sempre l’autorità accompagnando, comprendendo, aiutando, amando”; specialmente “le persone che si sentono sole, escluse, aride, le periferie esistenziali del cuore umano”.

Tale missione per Papa Francesco si realizza grazie ad un altro carisma fondamentale: l’ecclesialità, un “‘sentire’ con la Chiesa che trova una sua espressione filiale nella fedeltà al Magistero, nella comunione con i Pastori e il Successore di Pietro, Vescovo di Roma, segno visibile dell’unità”. “L’annuncio e la testimonianza del Vangelo, per ogni cristiano, non sono mai un atto isolato o di gruppo” ha infatti sottolineato. Perchè, come affermava Paolo VI, “è una dicotomia assurda pensare di vivere con Gesù senza la Chiesa, di seguire Gesù al di fuori della Chiesa, di amare Gesù senza amare la Chiesa”.

“Insomma, centralità di Cristo e del suo Vangelo, autorità come servizio di amore, ‘sentire’ in e con la Madre Chiesa”. Sono queste le tre indicazioni che Papa Francesco ha lasciato alle religiose per far funzionare la loro opera. Un’opera, ha detto, “non sempre facile”…

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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