Tra i concetti espressi da Papa Francesco, fin dalle sue prime omelie e discorsi, una particolare attenzione è stata indirizzata sulla teologia della “custodia del creato”. Già nell’omelia di inizio pontificato, il 19 marzo 2013, Papa Francesco aveva detto: «Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!». Ha poi aggiunto: «La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!».
Questi concetti sono in continuità con la Dottrina Sociale della Chiesa (Dsc). Tra questi infatti c’è quello di “ecologia umana”. Il primo ha parlarne fu Paolo VI, quando, nell’udienza del 7 novembre 1973,disse: «Non possiamo tacere il nostro doloroso stupore per l’indulgenza, anzi per la pubblicità e la propaganda, oggi tanto ignobilmente diffusa, per ciò che conturba e contamina gli spiriti, con la pornografia, gli spettacoli immorali, e le esibizioni licenziose. Dov’è l’ecologia umana?».
La riflessione teologica sull’”ecologia umana” e sulla teologia del creato ha avuto un fondamentale sviluppo anche con Giovanni Paolo II. Profetico è quanto il Beato scrisse nella Centesimus annus n. 38 dove affermò: “Oltre all’irrazionale distruzione dell’ambiente naturale è qui da ricordare quella, ancor più grave, dell’ambiente umano, a cui peraltro si è lontani dal prestare la necessaria attenzione. Mentre ci si preoccupa giustamente, anche se molto meno del necessario, di preservare gli “habitat” naturali delle diverse specie animali minacciate di estinzione, perché ci si rende conto che ciascuna di esse apporta un particolare contributo all’equilibrio generale della terra, ci si impegna troppo poco per salvaguardare le condizioni morali di un’autentica “ecologia umana”. Non solo la terra è stata data da Dio all’uomo, che deve usarla rispettando l’intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata donata; ma l’uomo è donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato. Sono da menzionare, in questo contesto, i gravi problemi della moderna urbanizzazione, la necessità di un urbanesimo preoccupato della vita delle persone, come anche la debita attenzione ad un'”ecologia sociale” del lavoro. L’uomo riceve da Dio la sua essenziale dignità e con essa la capacità di trascendere ogni ordinamento della società verso la verità ed il bene. Egli, tuttavia, è anche condizionato dalla struttura sociale in cui vive, dall’educazione ricevuta e dall’ambiente. Questi elementi possono facilitare oppure ostacolare il suo vivere secondo verità. Le decisioni, grazie alle quali si costituisce un ambiente umano, possono creare specifiche strutture di peccato, impedendo la piena realizzazione di coloro che da esse sono variamente oppressi. Demolire tali strutture e sostituirle con più autentiche forme di convivenza è un compito che esige coraggio e pazienza».
Il Papa emerito Benedetto XVI, a sua volta aveva approfondito la riflessione alla luce della fede e sviluppato e allargato l’orizzonte della Dsc. Diversi sarebbero gli interventi da citare, ma basta la Caritas in veritate, che rappresenta il punto più alto della riflessione del Pontefice emerito, soprattutto nel capitolo IV dal titolo “Sviluppo dei popoli, diritti e doveri, ambiente” e in particolare nei paragrafi 48 e 51.
Nel discorso di apertura del suo pontificato, Papa Francesco si colloca dunque nel tracciato degli insegnamenti del Magistero papale precedente. Una prima riflessione è che prendersi “cura” del creato non vuol dire solo prendersi “cura” dell’ambiente naturale o fisico, ma prima di tutto e soprattutto dell’uomo. «Il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili», significa aver cura della famiglia, ha detto il Santo Padre.
Una seconda riflessione riguarda la “custodia” del creato, ovvero non solo gli atteggiamenti individuali, ma anche la costruzione comunitaria fraterna della polis: «Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale …: siano custodi della creazione».
Una terza riflessione si fonda sulla natura, più propriamente detta “il creato”, considerata come dono di Dio: «Siate custodi dei doni di Dio!» e quindi chiamati a rispettarla. Un’ultima riflessione ruota intorno al cuore dell’uomo e solo dopo nelle strutture. Papa Francesco dice che non possiamo “custodire” il creato se prima non custodiamo noi stessi, nella pienezza spirituale di questo termine. La custodia del creato «chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza».
Attenzione a non confondere la “cura” del creato secondo la declinazione della Dsc, con l’ideologia ecologista. Papa Francesco parla di custodia del creato in modo molto diverso da come ne parlano i giornali o i movimenti ecologisti, o le Ong attive a livello internazionale.
Anche nella custodia del creato, in fondo, la Chiesa deve «confessare Cristo», senza la quale essa «assomiglierebbe ad una Ong», come il Santo Padre disse alla messa con i Cardinali nella Cappella Sistina il 14 marzo 2013. Ed infatti egli non invita solo a costruire il creato, ma a custodire Cristo nella nostra vita «per custodire gli altri, per custodire il creato!».
In queste veloci pennellate sulla custodia del creato è contenuto il dna della Dottrina Sociale della Chiesa. L’annuncio e la rivelazione cristiana contengono un messaggio di salvezza in quanto proclamano che Cristo è il Kyrios il Salvatore. Quindi non esiste nessuna antitesi tra creazione e redenzione.
La Dsc contiene un messaggio per la costruzione della convivenza sociale vista alla luce del progetto di Dio creatore. Custodire il creato vuol dire, quindi, costruire una società civile secondo il progetto di Dio, ossia mettere in atto gli insegnamenti della Dsc.
La relazione tra fede e ragione, tra grazia e natura, è data proprio dalla creazione (oltre che, poi, dalla caduta originale), senza la quale la fede cristiana non avrebbe rilevanza pubblica. La Dsc cerca di ri-costruire la natura e la società civile secondo il piano di Dio.
Questa “centralità di Dio”, su cui Benedetto XVI ci ha insegnato tanto, è la fonte da dove nasce un nuova custodia del creato e lo stesso utilizzo della Dottrina Sociale della Chiesa. Nell’omelia di Papa Francesco del 19 marzo ciò è ancora più evidente con l’affermazione: «Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno»