L’11 febbraio 2013 è un giorno rimasto alla storia: Benedetto XVI ha annunciato al mondo la decisione di rinunciare alla Cattedra di Pietro. Non tutti, però, ricordano che il Papa lo ha fatto durante il Concistoro pubblico per la canonizzazione del Beato Antonio Primaldo e dei suoi compagni di Otranto, morti martiri per mano dei turchi perché non volevano rinunciare alla loro fede in Cristo e convertirsi all’Islam. Clemente XIV con un decreto del 1771 proclamò i martiri di Otranto beati e confermò il loro culto. Ma è stato poi Benedetto XVI a riconoscere ufficialmente nel 2007 il loro martirio per la fede. La loro canonizzazione è stata possibile grazie al riconoscimento ufficiale di un miracolo per l’intercessione dei martiri: la guarigione miracolosa di una suora italiana affetta da cancro. È molto significativo che i primi santi canonizzati da Papa Francesco siano cristiani uccisi in odio alla fede cristiana.
L’Impero islamico alle porte dell’Europa
All’inizio del XIV secolo, una tribù turca fondò in Anatolia un emirato che adottò il nome del primo sovrano, Osman, fondatore della dinastia degli ottomani. L’emirato si estese rapidamente conquistando le terre bizantine in Anatolia e in parte della Bulgaria e della Serbia. Nel 1453 Maometto II, a capo di un esercito di 260 mila soldati, conquistò la capitale di Bisanzio, Costantinopoli, che divenne capitale dell’Impero Ottomano. La caduta della “seconda Roma” fu il momento più drammatico nella storia del cristianesimo d’Oriente, perché significava la fine delle antiche e fiorenti Chiese orientali di Bisanzio. Il sultano ottomano divenne così potente che decise di continuare le sue conquiste nell’Occidente, pensando di conquistare la stessa Roma, capitale della cristianità (il sultano voleva trasformare la Basilica di San Pietro in una stalla per i suoi cavalli!). Nel giugno del 1480, la flotta ottomana – che fino ad allora assediava l’isola di Rodi difesa dai cavalieri dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme – si diresse verso il mar Adriatico al porto di Brindisi. Si trattava di 90 galee e una serie di navi più piccole con 18 mila soldati a bordo comandate da Ahmed Pasha. Nei piani del sultano, dopo la conquista di questo porto strategico del sud Italia, il suo esercito doveva conquistare il mezzogiorno della Penisola Appenninica e prendere Roma, sede del Papa. Purtroppo, forti venti fecero sì che la flotta non raggiunse Brindisi, ma si fermò nei pressi di Otranto, un porto un po’ più a sud, famoso per i magnifici mosaici della cattedrale costruita nel XI secolo. Otranto era conosciuta perché da lì partivano per Gerusalemme i crociati e nel 1219 si fermò san Francesco di ritorno dal pellegrinaggio in Terra Santa.
L’Assedio di Otranto
Quando il 28 giugno la flotta ottomana arrivò nelle acque di Otranto, in città c’era una guarnigione composta da 400 soldati. Il comandante immediatamente inviò un messaggero al re di Napoli con la richiesta d’aiuto. Purtroppo l’aiuto non arrivò e i soldati abbandonarono la città, lasciando la popolazione sola. Gli abitanti si rifugiarono all’interno delle mura del castello e vi si difesero contro gli attacchi dei Turchi, che bombardavano la città con grosse palle di pietra. Alla fine, questi riuscirono a trovare un punto debole nelle mura e il 12 agosto, tramite una breccia, entrarono nella città. Così iniziò il massacro degli abitanti. Venne abbattuta la porta della cattedrale dove aspettava i suoi carnefici anche l’arcivescovo Stefano Pendinelli vestito in abiti da cerimonia con un crocifisso in mano. L’arcivescovo esortò i turchi alla conversione ma in risposta gli tagliarono la testa, dicendo che d’ora in poi nella città governava solo Maometto. Qualche giorno dopo, Ahmed Pasha fece radunare tutti gli uomini sopravvissuti di età superiore ai 15 anni – circa 813, anche se tradizionalmente si parla di 800 – e persuase i prigionieri a rinunciare alla loro fede in Cristo e convertirsi all’Islam. A nome degli abitanti di Otranto parlò Antonio Primaldo, un povero sarto, il cui nome passerà alla storia: “Noi crediamo in Gesù Cristo, figlio di Dio, e noi siamo pronti a morire mille volte per Lui”. Poi si rivolse ai suoi concittadini con le seguenti parole: “Fratelli miei, abbiamo combattuto per difendere la nostra patria, le nostre vite e i nostri signori temporali, ora è tempo di lottare per salvare le nostre anime per il nostro Signore, che ha dato la vita per noi sulla croce. Con questa morte guadagneremo la vita eterna e la gloria del martirio”.
Il martirio per la fede
Nessuno degli abitanti di Otranto si convertì all’Islam e questo rifiuto significò la condanna a morte. Il giorno dopo, i prigionieri incatenati vennero portati fuori dalla città sul colle chiamato Colle della Minerva, oggi Collina dei Martiri. Ad ognuno di loro fu tagliata la testa con una grande scimitarra su una roccia che oggi si conserva in uno degli altari della cattedrale. Un testimone oculare degli eventi, un certo Francesco Cerra, ricordò quelli momenti drammatici quando, 59 anni dopo, testimoniò nel processo di beatificazione (aveva allora 72 anni). Cerra riferì di un miracolo: il corpo di Primaldo, dopo la decapitazione, restò in piedi fino al momento in cui tutti i compagni furono uccisi. Berlabei, uno dei carnefici, fu così stupefatto per il prodigio che credette nella fede dei martiri, in Gesù Cristo, e per questo fu dato alla morte del palo. I corpi dei martiri rimasero insepolti sulla collina per oltre un anno, fino al 13 settembre 1481 quando la città fu riconquistata dall’esercito del principe Alfonso di Calabria, figlio del re di Napoli. Le loro reliquie furono trasportate alla cattedrale; lì fu costruita per i martiri, a destra dell’altare maggiore, una cappella speciale, in cui sono conservate le ossa benedette. Nell’altare con la statua della Madonna si trova invece la pietra sulla quale furono decapitati questi gloriosi testimoni di Cristo.
[La seconda parte verrà pubblicata domani martedì 7 maggio 2013]