Il caro ammalato popolo di Dio in Italia è affetto dunque da tre patologie: a) uno “spaventoso analfabetismo religioso”, e questo fa riferimento alla non conoscenza o conoscenza distorta e rabberciata della dottrina della fede; b) una carenza endemica di testimonianza cristiana, e questo fa riferimento alla incoerenza tra pensiero e azione, come anche alla mancanza di ingaggio nella Vigna del Signore; c) è affetto, forse in gran parte, anche dalla perdita di fiducia nelle verità evangeliche, e questo si manifesta con il “vivere come se Dio non ci fosse”.
Quindi l’azione apologetica che mostra le ragioni della Fede tende a curare il male più radicale della perdita di credibilità verso tale dottrina. Nel nostro popolo esistono cioè tanti cattolici nominali o anagrafici che comunque frequentano le chiese e non si rivolgono ad altre proposte. Non giungono a una abjura formale della fede, ad una apostasia dichiarata, ma vivono, fuori dei momenti sacramentali, come cristiani incoerenti con la fede professata, non per debolezza ma perché non la ritengono valida, non più credibile. Per molti genitori il catechismo ha una validità pedagogica fino alla cresima e non oltre… Oltre è meglio credere alle catechesi del mondo, è meglio vivere non riferendosi né a Dio né al Vangelo. Meglio seguire il sistema valoriale che la vita ha insegnato al padre (come dice una canzone di Don Backi). Uno scrittore disse che vivere onestamente è faticoso, e vivere disonestamente pericoloso, così che molti papà – riferimento valoriale per i figli! – optano per una vita “onestamente disonesta”.
Apologetica e grazia, theologia rationalis e theologia revelationis: pane e companatico
Quindi il nostro lavoro specifico di GRISsini si situa sul piano apologetico, dei praeambula fidei che fondano, giustificano la ragionevolezza della fede cattolica rendendola credibile. Non è un caso che la Chiesa faccia curare entrambe le discipline della teologia razionale e della rivelazione nelle sue università pontificie. Mentre il compito pastorale normalmente inteso, e suggerito dalla Porta Fidei, si situa a quanto sembra, più sul piano della rivitalizzazione di una fede trascurata ma mai disprezzata, per recuperarla, approfondirla, spingere a testimoniarla; è un po’ forse come il far piovere sul bagnato o sul già umido.
Se però l’ipotesi dell’abbandono della Fede non solo per trascuratezza ma anche per rifiuto della sua credibilità è esatta, occorrerà che sia in questo Anno della Fede, sia in seguito, si curino tutte le affezioni del caro paziente non illudendosi di migliorare le cose parlando di Fede supponendo che ancora esista, ad un soggetto che l’ha completamente rifiutata di fatto. Ci si scontrerebbe con un muro di gomma.
Bisogna intervenire in pratica anche nella cura della “ragione debole”, riaprendole gli orizzonti delle sue capacità veritative su tutto, e particolarmente nella fondazione della Fede.(1) Ciò va fatto, se non come prima mossa, dopo che magari la grazia ha dato ai singoli il suo invito suadente nei mille modi e occasioni che la vita riserva ad ognuno. Dopo la prima apertura o accettazione, manifestata dal soggetto, dopo lo stupore ammirato del “guardate come si amano!”, dell’essere stati colpiti visitando Lourdes, Medjugorie, il Cottolengo, la celebrazione a Tor Vergata…dopo il dolce tormento interiore con cui Dio attira a sé nel profondo dei cuori, occorrerà soddisfare la esplicita richiesta di offrire le credenziali della nostra Fede, occorre la verifica della Fede. E’ questa oggettivazione delle fondamenta della Fede cattolica, come anche la struttura della sua coerenza interna, che mette al riparo dalla suggestione di altre proposte, per quanto ben reclamizzate, e fa da base anche per ogni recupero del dono di Dio ottenuto sin dal battesimo in soggetti ancora credenti. (2) Ecco perché il punto di partenza obbligato è quello di porre la domanda di senso. E’ una richiesta ineludibile della ragione che, come sappiamo, potrà essere soddisfatta solo dall’apertura al messaggio della Fede: quella autentica però! (3) E su tale autenticità sarà ancora la ragione a fare la verifica delle credenziali che già San Pietro riteneva importanti. (Cf 1Pt 3,15)
Naturalmente questa opera di rifondazione (che dovrebbe essere continuamente rinverdita e consolidata, mentre è stata purtroppo molto trascurata dal postconcilio ad oggi), può essere svolta anche dalla normale pastorale che nella nostra Chiesa ha da sempre coniugato la conoscenza dei dati di fede con il ruminamento filosofico e teologico. La catechesi degli adulti, cioè (si pensi ai pregevoli lavori dell’Azione Cattolica), ha sempre unito le “due ali” della ragione e della fede affinché sostenessero il volo della fede nel credente. Lo ha fatto sia per i neofiti, sia per chi già vive di fede e nella fede, affinché tutti i cattolici sappiano esibire e difendere dialetticamente, per se stessi e per chiunque le chiedesse loro, “le ragioni della propria speranza” e della fede che sostiene quella speranza. Non a caso è stato lo stesso Magistero, con la “Fides et Ratio“, a venire incontro a questo recupero della ratio, all’interno e in comunione con la fede, dando l’imput a coltivare queste “ragioni” che integrino la valenza emozionale gratificante della fede. Il fenomeno del proliferare di tante fedi non credibili, ma certamente tutte dotate di una loro valenza suggestiva, ci dimostra che la gratificazione esperienziale da sola non dà garanzie di veridicità perché, a quanto si vede, riesce, soprattutto se incontra persone culturalmente indifese, a “fondare” anche religioni sbagliate.
(La prima parte è stata pubblicata ieri, domenica 5 maggio)
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NOTE
1) “Proprio in un contesto come il nostro, che sembra emarginare la fede per il sopravvenire delle conseguenze del secolarismo, è importante ribadire che proprio quest’ultimo costituisce l’alleato più vicino della fede. Viene il tempo in cui, stanchi delle sue promese mai attuate e forti della consapevolezza delle illusioni che ha procurato, lo sguardo di molti si rivolga di nuovo a ciò che hanno abbandonato o ritenuto superfluo. D’altronde la promessa di vivere nel mondo «come se Dio non esistesse» non ha aiutato a raggiungere l’agognata meta della maturità umana e dell’autonomia delle proprie decisioni.” (RINO FISICHELLA, La fede come risposta di senso, Paoline, p. 8)
2) Personalmente ritengo che S.E. Mons. Milingo abbia avuto una crisi di fede e non di ribellione contro la disciplina che gli veniva imposta. Egli non ha creduto alla interpretazione della Chiesa che assicura che la rivelazione pubblica si è chiusa con la morte dell’ultimo degli apostoli e che – come insegna l’Apostolo Giovanni e ha ribadito la Dominus Iesus – Gesù è l’ultimo e perfetto rivelatore del Padre; così che non c’è da aspettarsi alcuna altra rivelazione pubblica fino al secondo avvento di Gesù alla fine del mondo. (cf Dominus Iesus n. 5) Egli ha creduto invece effettivamente che Dio, tramine Moon, avesse fatto una nuova rivelazione. Tale perfino da fargli dimenticare che, secondo la fede cattolica che lui riteneva ancora di professare, il suo matrimonio era viziato da impedimento dirimente che lo rendeva sacramentalmente nullo.
3) “La via della fede è una scelta irrevocabile che implica l’affidamento della propria vita nelle mani di un Dio che non si vede, ma che si percepisce presente come ultimo e definitivo portatore di senso.” (ibid. p. 9)