Suoni e immagini che aiutano il paziente ad affrancarsi dal peso di un lutto che ha “arrestato” la sua esistenza: è la psicoterapia multimediale messa a punto dal professor Domenico Arturo Nesci, psicoanalista e ricercatore dell’Istituto di Psichiatria e Psicologia dell’Università Cattolica di Roma del Sacro Cuore. La nuova forma di psicoterapia – argomento del volume “Multimedia Psychotherapy: A Psychodynamic Approach for Mourning in the Technological Age” – è una nuova tecnica che aiuta i pazienti a elaborare esperienze di lutto o a superare traumi, inibizioni e blocchi emotivi verificatisi nel corso della vita (il libro è edito da Jason Aronson, il più importante Editore di psicoterapia in USA https://rowman.com/ISBN/9780765709134).
Un lutto non elaborato non solo può portare a sintomi depressivi, ma può costituire un vero e proprio blocco evolutivo (lutto congelato), di fatto “paralizzando” il soggetto in quel momento doloroso della sua esistenza. Quando l’impoverimento della vitalità del soggetto diventa invalidante si parla ora di “Lutto Prolungato” (Prolonged Grief Disorder) una nuova categoria diagnostica che sarà inserita nel DSM-5, nel prossimo futuro.
Confermando le idee di Freud, che nel 1915 aveva avvicinato il lutto alla melanconia, e cioè a una psicosi, nella nuova figura nosografica del “Prolonged Grief Disorder” il lutto torna a essere visto come una malattia, se lo stato depressivo persiste oltre i sei mesi dall’evento e se il soggetto si sente non più in grado di svolgere le sue abituali attività con l’efficienza consueta.
La terapia proposta dal professor Nesci, per far ripartire la vita di un individuo congelato dal lutto di una persona cara, si svolge in 5 fasi: la presa in carico del paziente (durante la quale il terapista spiega il metodo che userà); il lavoro sulle immagini (in cui il paziente, con l’aiuto di familiari e amici, porta in visione delle foto per lui significative, le condivide col terapista, evoca ricordi e rivive emozioni perdute); la scelta di una colonna sonora in una apposita seduta (la “music session”) in cui si ascolta e si commenta il brano musicale; la produzione del video (“montaggio psicodinamico”) fatta da un esperto (all’oscuro della storia del paziente) che collabora col terapista, al di fuori del setting della terapia; la visione del video stesso in una seduta ad hoc (la “screening session”) in cui finalmente paziente e terapista osservano, commentano ed elaborano, il materiale multimediale prodotto; la fine del lavoro, simboleggiata dalla consegna dell’oggetto della memoria al paziente.
Gli “oggetti della memoria” nel corso della terapia hanno un effetto molto efficace per l’elaborazione del lutto o il superamento di traumi o inibizioni dello sviluppo del paziente, cioè di “lutti metaforici”. E questo è vero sia che essi vengano “postati” (protetti da una password) su un sito appositamente creato dall’Associazione senza scopo di lucro – The International Institute for Psychoanalytic Research and Training of Health Professionals (IIPRTHP), che collabora con il Centro di Ricerche oncologiche Giovanni XXIII dell’Università Cattolica di Roma per la ricerca e la formazione in Psico-Oncologia -, sia che vengano concretamente affidati ai pazienti, al termine della terapia.
“Questo metodo – spiega il professor Nesci – pur essendo stato concepito in un setting e con un approccio psicodinamico, può essere utilizzato anche da psicoterapeuti di impostazione diversa (fenomenologica, cognitivista, sistemico relazionale ecc.). Si tratta cioè non solo di una nuova forma di psicoterapia psicodinamica ma, al tempo stesso, dell’invenzione di una nuova tecnica integrabile in qualunque forma di cura psicologica”.
Il libro è concepito come un manuale pratico, scritto allo scopo di consentire a tutti gli psicoterapeuti di apprendere e di applicare la nuova tecnica ai loro pazienti.
Il volume apre anche nuovi orizzonti sull’uso di questa tecnica creativa: costruire “oggetti della memoria futura” per i bambini di madri in gravidanza, per rendere visibile quello che era invisibile durante la vita intrauterina, e per rinforzare in pazienti con malattia di Alzheimer le tracce mnemoniche dei loro cari, prima che queste scompaiano per il progredire della demenza.
Nel primo caso l’effetto è sicuramente di aiuto ai genitori per aiutare il loro bambino nel suo sviluppo, facendolo partecipare al clima emotivo dei nove mesi di gravidanza in cui il bambino non poteva vedere cosa vivevano, e quindi costruendo una sorta di “ricordi di copertura” riparativi rispetto a eventuali momenti difficili della gravidanza.
Nel secondo caso l’effetto potrebbe essere di enorme aiuto ai familiari dei malati di Alzheimer, che sono spesso devastati dall’esperienza tragica di non vedersi più riconoscere dai loro parenti (ad esempio dal padre o dalla madre che prima di ammalarsi erano i loro punti di riferimento affettivi). Ma su questi nuovi orizzonti della psicoterapia multimediale si dovrà aspettare ancora molto tempo prima di disporre di risultati che possano confermare le speranze dei ricercatori.