“Secondo alcuni autorevoli testi di tecnica Aeronautica, il calabrone non può volare a causa della forma e del peso del proprio corpo in rapporto alla superficie alare. Ma il calabrone non lo sa e continua a volare”.
Questo straordinario aforisma, uno tra i più belli che ci giungono da Igor Sikorsky (ingegnere aeronautico americano di origini ucraine, fondatore della Sikorsky Aircraft Corporation, produttrice di elicotteri) è il motore, la spinta che ha indotto alcuni genitori a credere in modo speciale ai loro figli speciali. Questi genitori hanno potuto constatare che, come per il calabrone “inconsapevole”, il solo fatto di credere in loro, di aver fiducia nel loro potenziale, ha fatto sì che i propri bambini affetti da sindrome di Down vivessero in modo che noi – sapienti tuttologi sani – potremmo definire praticamente normale. Consapevoli che altre dolcissime creature del tutto simili alle loro vengono ogni giorno eliminate a causa un genocidio selettivo chiamato poeticamente aborto terapeutico, a breve tempo dalla nascita di questi figli che tanto li inorgogliscono e donano loro gioia ogni giorno, alcune mamme hanno voluto offrire la loro esperienza attraverso un servizio rivolto alle coppie che si trovano ad affrontare una diagnosi prenatale relativa a questa sindrome. È così che nasce il sito Credi in me. Attraverso questo portale, che cita come sottotitolo “Storie serie e semiserie sulla sindrome di Down a Cagliari”, le mamme si mettono a disposizione delle coppie per sostenerle nella scelta di portare avanti la gravidanza, fornendo consigli sull’allattamento, la crescita e l’accudimento generale di questi piccoli, che per alcune operazioni quotidiane – per altri bimbi di routine – hanno invece necessità di una particolare accuratezza.
Il bambino affetto dalla Trisomia 21 o sindrome di Down, come viene comunemente chiamata, oggi diagnosticabile in modo sicuro attraverso tecniche invasive come amniocentesi e villocentesi, è un tipo di bambino che ancora atterrisce i genitori: coppie che vedono infrangersi il sogno di un paffuto e sanissimo marmocchio e che – spesso spinte da medici poco umani – nel loro immaginario spaventato e confuso trasformano in una specie di mostro deformato, che ha ben poco di realistico. Qualunque sia il momento in cui i genitori vengono a sapere la notizia che il loro figlio è un “diverso”, è comunque un trauma che, a seconda di come sarà affrontato, porterà al rifiuto oppure all’amorevole accettazione… amore che il loro bambino speciale saprà ricambiare sempre.
“Fu come un terremoto improvviso, ci mancò la terra sotto i piedi – confessa Aurelia, sul portale www.conosciamolimeglio.it – non sapevamo cosa ci aspettava, quale sarebbe stato il futuro di nostra figlia. Col tempo abbiamo capito che l’amore che potevamo darle, sarebbe stata la terapia più efficace. Eravamo noi e le nostre famiglie i protagonisti di questa storia… Tutti insieme avremmo collaborato alla crescita e allo sviluppo della nostra bambina”. Così è stato e la piccola Alessia è divenuta il collante del matrimonio di mamma e papà e la gioia dei suoi fratelli più grandi, al punto che oggi la mamma afferma: “davvero quel cromosoma in più è una risorsa che non finiremo mai di comprendere… i genetisti non ce ne vogliano!”.
Per Cristina, i primi mesi dopo la nascita della sua piccola Lucrezia sono stati pesantissimi. Lei non sapeva nulla della malformazione della sua piccola prima che nascesse, e lo sgomento fu tale che i pensieri più terribili le passarono per la testa, al punto da desiderare che la bambina morisse. Piano piano, ha imparato a conoscere e ad amare la sua piccola che nel tempo è cresciuta ed ha collezionato sorrisi e progressi. Oggi Cristina è una mamma felice, che ammette senza difficoltà le debolezze che figli così inaspettati comportano ai genitori.
Qualche tempo fa, alcuni programmi televisivi – vuoi per desiderio di fare audience, vuoi per un reale desiderio di fare cultura della vita – hanno dato più volte spazio a questi ragazzi che tutto sembrano tranne che degli infelici, suscitando nel pubblico un sorpreso interesse ed un moto di grande tenerezza. In effetti, il bambino down molto raramente è aggressivo o incapace. Al contrario, ha una sua intelligenza emotiva, è profondamente sensibile, un vero catalizzatore dell’affetto familiare, tanto da essere l’autentico perno affettivo all’interno del suo nucleo di appartenenza. Se accolto, amato, responsabilizzato in rapporto alle sue reali capacità, sarà un adulto in grado di lavorare, di organizzare la sua giornata, di innamorarsi come un qualunque essere umano normodotato.
I genitori, nel vedere i loro figli trasformarsi da bambini a ragazzi, sono spesso accomunati dalla paura di cosa ne sarà di loro, quando un giorno non potranno più ricevere le cure e la protezione di mamma e papà, e hanno compreso che responsabilizzare e rendere autonomi i loro ragazzi non solo è possibile, ma necessario per garantire loro la piena autonomia e la serenità.
È stata quindi una conseguenza naturale che alcuni gruppi di genitori si siano riuniti nel corso del tempo in diverse associazioni sul territorio nazionale e che alcune di queste fungano proprio da percorso formativo per i ragazzi con Sindrome di Down. Citiamo ad esempio la Cooperativa “I Girasoli”, con sede a Roma, che grazie alla collaborazione di altri due enti simili (le cooperative “Cecilia” e “Al Parco”) gestisce un ristorante pizzeria all’interno del quale lavorano stabilmente dei ragazzi Down (info www.lalocandadeigirasoli.it). I risultati sono soddisfacenti e anche sorprendenti! Questi giovani sono così comunicativi e socievoli, divertenti e profondi, che non possono che fare del bene alla nostra società edonista, dove all’idolo del perfezionismo si sacrificano innumerevoli vite umane ogni giorno.
Per approfondimenti: Carlo Bellieni (a cura di), La risorsa down. Uno sguardo positivo sulla disabilità, Società Editrice Fiorentina, 2005
Sabrina Pietrangeli è presidente de La Quercia Millenaria Onlus – www.laquerciamillenaria.org
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