Il 21 novembre del 2009, papa Benedetto XVI, incontrando una numerosa rappresentanza di artisti nella Cappella Sistina, riaffermò la volontà da parte della Chiesa di “ritrovare la gioia della riflessione comune”, rinnovando quel desiderio di dialogo, tra “Arte e Fede”, che oggi sembra, in un certo qual modo, essersi interrotto.
Un riavvicinamento già auspicato nel 1965 da Paolo VI, nel Messaggio agli artisti alla chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II, e dal beato Giovanni Paolo II che, nella Lettera agli artisti del 1999, parlò di “una rinnovata epifania”. Proprio in questa prospettiva il cardinale Gianfranco Ravasi, titolare del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e del Consiglio di Coordinamento fra Accademie, ha maturato l’idea di partecipare, con un Padiglione della Santa Sede, alla 55.a Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia.
L’intenzione di fondo è proprio quella di riaprire un dialogo con l’arte contemporanea e, al contempo, con i non credenti. Un dialogo che, sin dall’antichità, è stato fonte di reciproco arricchimento, canale privilegiato per “testimoniare la bellezza delle fede”, ma che, nel tempo, con l’instaurarsi nella società di una sorta di umanesimo caratterizzato non solo dall’assenza di Dio, ma da una vera e propria negazione, ha generato quella separazione che oggi vede un’arte impoverita, astratta e concettuale.
Un’arte caratterizzata, per lo più, da espressioni effimere e dalla ripetitività di temi forzatamente stravaganti e dissacratori che, nonostante le sue provocazioni, oggi arrivate al parossismo, sembra aver smesso di suscitare qualsiasi tipo di sentimento nello spettatore, oramai assuefattone. L’arte contemporanea, spesso, “etichettata” dai più come “arte da salotto radical-chic”, giudicata snob ed elitaria, fatta su misura per “ingrassare” i mercati, sembra non provocare più quello stupore e quella meraviglia di un tempo.
E’ un’arte che sembra essersi persa nell’oblio del non senso, impregnata di quella cultura relativista che oggi pare aver invaso ogni ambito della vita dell’uomo, dove l’unico fine sembra essere l’affermazione dell’effimero, il fine del valore della cosa in sé. Un’arte che, staccandosi dal tema del “Sacro”, sembra aver perso “sostanza”, significato e, soprattutto, il senso della sua missione, ovvero, portare la bellezza nel mondo, la bellezza del creato che ci circonda. Come disse Paolo VI: “Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione”.
Nonostante tutto, come ha affermato il Card. Ravasi, una sorta di “nostalgia del sacro è in qualche modo rimasta” nell’arte contemporanea, anche se “l’unico riferimento alla religione è divenuto polemico o dissacrante”; il vero problema, però, è che “senza temi alti e grandi narrazioni, anche l’arte “profana” si ritrova povera”. Ecco che, allora, la presenza della Santa Sede ad una delle maggiori manifestazioni di Arte contemporanea del mondo, sembra essere una necessità, perché se è vero che la Chiesa ha bisogno dell’Arte, anche l’Arte, oggi come non mai, sembra proprio aver bisogno della fede, “dimora” privilegiata della bellezza.