L'Editto di Milano: ieri e oggi (Prima parte)

L’importanza e l’attualità del documento che ha cambiato la storia della religione cristiana

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Ricorre quest’anno l’anniversario del famoso Editto di Milano con il quale l’Imperatore Costantino (306-337) riconobbe la libertà di culto alla religione cristiana. Era il febbraio del 313. Da allora sono trascorsi 1.700 anni. Il 6 dicembre 2012, il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ha aperto solennemente nel duomo di Milano le celebrazioni per la ricorrenza.

Ma cosa contiene di così importante questo documento e qual è la sua attualità nella società di oggi? Per capirlo bisogna partire da lontano.

Secondo le fonti storiche, Gesù è morto probabilmente nell’anno 30 in Palestina, che dal 64 a.C. stava sotto il protettorato dell’Impero Romano. In quell’anno il Governatore (rappresentante dell’Imperatore) era Ponzio Pilato (26-36), che firmò la condanna a morte di Gesù.

Era consuetudine romana che i Governatori inviassero a Roma una relazione ufficiale sulle vicende della regione affidata alle loro cure. Di questa consuetudine ci informa il primo storico del cristianesimo, Eusebio di Cesarea (260-340), nella sua Storia Ecclesiastica: “Pilato, secondo un’antica usanza secondo cui il governatore delle province dovesse trasmettere le notizie al titolare del potere reale, in modo che fosse aggiornato su tutto, ha informato l’imperatore Tiberio…” (II, 2, 1).

In quegli anni, l’Imperatore era Tiberio (14-37). Pilato gli inviò una relazione in cui si mostrava favorevole ai Cristiani e parlava anche di Gesù, questa volta elogiandolo, e presentando a Tiberio la proposta di riconoscerne la divinità. Questa lettera risale all’anno 35.

Giustino (100–165) ne dà conferma in due passi della sua I Apologia, dopo aver riassunto la vita di Gesù: “E’ successo tutto in modo da poter dimostrare i verbali da loro redatti al tempo di Ponzio Pilato” (I, 35, 9). L’altro passo: “Che tutto questo è stato fatto per Cristo, voi siete in grado di dimostrare i verbali redatti al tempo di Ponzio Pilato”. Anche Tertulliano (155 circa – 245 circa) ci da questa notizia nell’Apologetico (a. 197): “Pilato, già cristiano in cuor suo, riferì a Cesare, che allora era Tiberio, tutti i fatti relativi al Cristo” (21, 24).

Ora, il riconoscimento della divinità del fondatore di una religione, condizione indispensabile affinché l’esercizio di questa religione fosse ammesso nell’Impero, era di competenza del Senato di Roma. Tertulliano ci dà la notizia: “Viveva un antico decreto secondo cui il comandante supremo non aveva nessun diritto di deificare una persona senza l’approvazione del Senato” (Ap., 5, 1).

Tiberio inviò la relazione di Pilato al Senato mostrando il suo desiderio che Cristo fosse riconosciuto come Dio. Qui entrò il conflitto di competenze. Il Senato non gradì questa ‘pressione’ dell’Imperatore e, per difendere la propria autonomia, rifiutò di riconoscere a Cristo le prerogative di divinità. Per cui rispose negativamente a Tiberio.

Questo documento è dell’anno 35 ed è passato alla storia come “Senatus Consultum”. Da allora la religione cristiana è considerata nell’Impero “Religio non licita”. È ancora Tertulliano che ci informa su questo: “Tiberio, quando gli fu riferito dalla Siria-Palestina che laggiù s’era rivelata la divinità di Cristo, sottopose la questione al Senato con voto favorevole. Il Senato, non avendo dato l’approvazione a tali fatti, li respinse” (Ap., 5, 2).

Dal 35 d. C., quindi, i cristiani non potevano professare ufficialmente la loro religione in quanto non era stata riconosciuta dal Senato. Questa situazione durò fino al 313. Non necessariamente i cristiani dovevano essere perseguitati. Questo dipendeva dalla mentalità degli Imperatori e dalla convenienza politica. Nei primi tre secoli si registrarono diverse persecuzioni.

Lo scrittore Lattanzio (260-340 circa) nella sua opera La morte dei persecutori, scritta poco dopo il 313, racconta le persecuzioni più feroci, su un territorio geografico più esteso, sotto i seguenti Imperatori:  Nerone (54-68), Domiziano (81-96), Decio (249-251), Valeriano (253-260), Aureliano (270-275), Diocleziano (284-305), Galerio (305-311).

Ma ci furono anche tante altre oppressioni su un territorio più delimitato durante gli Imperatori: Traiano (98-117), Adriano (117-138), Antonino Pio (138–161), Marco Aurelio (161–180) Settimio Severo (193-211), Gallo (251-253).

In seguito alla vittoria del 312 contro Massenzio, nella località Ponte Milvio (Roma), Costantino mutò lo status giuridico dei cristiani, con il famoso Editto (febbraio 313).

In verità questo documento non fu firmato nel febbraio del 313 a Milano. Dopo la vittoria, Costantino e Licinio (308-323) presero degli accordi a Milano nel febbraio, ma la firma e la pubblicazione degli stessi avvenne il 13 giugno 313 nella città di Nicomedia. In tal modo veniva abolito il documento del Senato dell’anno 35.

Il testo ci è riportato da Lattanzio (La morte dei persecutori, cap. 48) e da Eusebio (Storia, X, 5, 2-14). Questo significò che il cristianesimo non era più perseguibile ma entrava a pieno diritto nell’Impero Romano.

Si può immaginare la gioia dei cristiani per questo Editto. Eusebio di Cesarea scrisse una Vita di Costantino elogiando molto questo Imperatore. Addirittura, nella Chiesa d’Oriente, l’Imperatore è considerato un santo.

Più che per motivi religiosi, certamente Costantino agì per scelta politica. Basta pensare che decise di ricevere il battesimo solo in punto di morte.

Ciò non toglie il grande merito e l’intuizione che ebbe nel riconoscere che ormai la realtà dell’Impero era cambiata, che il cristianesimo e la Chiesa avevano una portata sociale e giuridica tale da rendere anacronistico il divieto del Senato. Costantino vide nel Dio dei cristiani non un pericolo per l’Impero, ma un aiuto per garantire la durata dell’Impero e per salvare la civiltà romana, visto che la religione imperiale si mostrava insufficiente di fronte alle nuove problematiche.

Questo equilibrio fu rotto infelicemente dal successivo Editto di Tessalonica del 27 febbraio 380, in cui la religione cristiana veniva riconosciuta come unica e veritiera religione da professarsi nell’Impero: “Vogliamo che tutti i popoli restino fedeli a quella religione tramandata dal divino apostolo Pietro ai Romani… Ordiniamo che il nome dei Cristiani cattolici abbracci coloro i quali seguono questa legge, mentre gli altri pazzi e insensati… devono essere colpiti dalla punizione” (1).

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NOTE

1) Per questo documento e per tutta la legislazione: Il Cristianesimo nelle leggi di Roma Imperiale, a c. di Alberto Barzanò, ed. Paoline, Milano 1996; il testo citato è a pag. 228.

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Vitaliano Mattioli

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