di Maurizio P. Faggioni*

ROMA, domenica, 7 ottobre 2012 (ZENIT.org).- Nel numero di giugno 2012 della Newsletter di Scienza & Vita, Lucio Romano, Adriano Fabris e Luciano Eusebi mettevano a fuoco, dal punto di vista antropologico, filosofico e giuridico, il discusso tema della obiezione di coscienza e veniva poi presentato un parere elaborato dalla nostra Associazione sulla obiezione di coscienza del medico alla prescrizione della pillola postcoitale. Sono pagine, nella loro giornalistica brevità, dense di riflessioni stimolanti e di osservazioni acute. Come rapsodico contrappunto di quelle pagine e come eco di quei pensieri penetranti, vorrei offrire qui alcune idee sparse e alcune riflessioni nella prospettiva propria della teologia morale. La parola obiezione di coscienza così come è usata nel linguaggio comune ha un significato molto ampio e indica come vuole letimologia latina della parola obiectio, opposizione - il rifiuto posto da un soggetto di fronte a un ordine i cui contenuti e finalità ripugnano alla propria sensibilità morale. La parola coscienza evoca lintimità della persona, la sua irriducibile soggettività, il suo mondo di persuasioni e di convinzioni. La coscienza - come si esprime Gaudium et spes è come il sacrario della persona, quel luogo senza luogo nel quale ciascuno è solo con se stesso, con le sue responsabilità di uomo, di fronte al mistero del bene e del vero e coglie il senso del suo agire nellorizzonte più ampio della direzione di compimento verso cui si muove la sua esistenza. Se un uomo agisse contro la persuasione della sua coscienza causerebbe una danno letale a se stesso perché, abdicando alla sua libertà e dignità, si lascerebbe condurre da altri autorità o leggi ad agire contro le proprie più profonde convinzioni. La memoria sempre torna alla figura forte e commovente di Antigone che sfida le leggi della città, stabilite da Creonte, per dare sepoltura al fratello ucciso e lo fa in nome di una legge superiore e antecedente ogni legge umana che ella sente risuonare nel suo cuore come obbligante più di ogni legge elaborata dagli uomini. Di solito nel parlare di obiezione di coscienza ci si riferisce al diritto, riconosciuto per legge, di non porre atti che per la stessa legge dovrebbero essere posti.

Lobiezione di coscienza che, formalmente, è una deroga a una legge, viene talora percepita come una ferita alla legge e alla sua forza obbligante, come se lobiezione di coscienza mettesse in dubbio la autorevolezza morale della Società e facesse prevalere sul bene comune interessi soggettivi, forzando la Comunità civile a piegarsi a dettami etici ad essa estranei. La Società civile, se il riconoscimento dellobiezione fosse davvero questo, affermerebbe implicitamente la sua mancanza di autorevolezza morale e si riconoscerebbe subordinata a realtà estranee. A ben vedere, invece, la logica dellobiezione di coscienza è tutta interna alla Società civile ed è sintonica con i principi di una legislazione intimamente razionale. Il fondamento di ogni sistema giuridico nelle sue diverse articolazioni ed espressioni dovrebbe trovarsi nella salvaguardia dei diritti umani e, quindi, ultimamente, nei valori umani essenziali. La teologia morale è solita affermare, a questo proposito, che ogni legge deve essere conforme alla recta ratio, ad una ragione sana, perché la legge risulta obbligante per la coscienza proprio a motivo della sua ragionevolezza. Si deve riconoscere, infatti, alla ragione umana che ha la capacità di aprirsi a riconoscere, comprendere e attuare i valori essenziali, quei beni umani che sostanziano una vita degna della persona. In caso contrario la legge perderebbe la sua forza obbligante perché - come affermava santAgostino - una legge ingiusta non può dirsi legge in senso pieno e anzi come insegnava san Tommaso una legge che andasse contro la ragione non sarebbe una legge, ma la corruzione di una legge e un atto di violenza.

A volte la legge cerca un difficile bilanciamento fra valori che sembrano confliggenti e permette che un valore sia tutelato con minor rigore ritenendo spesso erroneamente che questo sia richiesto per lattuazione di un altro valore giudicato, in quella certa situazione, preminente. È il caso della legge 194 che, pur affermando, in linea di principio, la tutela della vita nascente e della maternità, de facto privilegia la autodeterminazione della madre rispetto alla vita del concepito.

Talora la legge rinuncia a punire la violazione di un valore o può permettere atti che costituiscono violazione di un valore normalmente tutelato e, in certi casi, può addirittura imporre ai cittadini azioni contrarie ai valori umani riconosciuti. Questo è il caso ancora della 194 nei confronti dei medici di per sé obbligati, nelle strutture pubbliche, a erogare servizi medici di natura abortiva secondo le previsioni della legge. Nella stessa situazione si trovano i farmacisti obbligati a mettere a disposizione del pubblico farmaci con finalità abortive. È chiara la contraddizione di un sistema legislativo che si propone di tutelare e promuovere i diritti umani e che, nello stesso tempo, deroga alla tutela di quegli stessi diritti in particolari situazioni. In questi casi, non potendo essere imposta la violazione di diritti umani, la legge stessa può prevedere il diritto di esercitare lobiezione di coscienza. Lobiezione di coscienza, non è dunque disobbedienza alla legge e disprezzo di valori civili, ma attestazione coerente dei valori su cui si basa il civile convivere. Come ci ricordava, con la precisione del giurista, Luciano Eusebi, lobiezione di coscienza ha per contenuto lindisponibilità soggettiva al possibile coinvolgimento richiesto dalla legge, nelloffesa di un diritto che si manifesti nondimeno costituzionalmente significativo. Lobiettore non si pone a priori in opposizione al potere legislativo o allo Stato, come accade in forme di disobbedienza ispirate a ideologie anarchiche. Lobiettore chiede di essere esonerato dalladempiere una legge che va contro valori umani irrinunciabili, la cui salvaguardia è la ragion dessere dellordinamento giuridico. La logica interna dellobiezione di coscienza è, quindi, lopposto di quello che si sente dire o si legge fra le righe di gran parte del dibattito pubblico in Italia: gli obiettori, specie in campo sanitario, sarebbero si dice - dei privilegiati che, per in ossequio a loro personali credenze e per motivi di opportunità politica contraddittori con la laicità dello Stato, impediscono ad altri cittadini di fruire di loro sacrosanti diritti. La non comprensione delle ragioni laiche dellobiezione di coscienza deriva da un indebolimento dei valori nella coscienza di molti, sommersi dallonda di piena del relativismo etico.

In questa stessa prospettiva, si comprende anche la cosiddetta clausola di coscienza, invocata dal Comitato Nazionale di Bioetica nel suo parere del 28 maggio 2004 a proposito del preteso obbligo del medico di prescrivere la pillola del giorno dopo. In una Nota del Comitato, approvata a maggioranza il 25 febbraio 2011, la legittimità dellappello alla clausola di coscienza è stato riferito anche ai farmacisti in ordine alla vendita della pillola del giorno dopo. Lappello alla propria coscienza, anche in assenza di una esplicita previsione di legge, resta un diritto inalienabile del cittadino purché radicato sui valori civili fondamentali e non rechi danno ingiusto ad altri.

Non sono importanti, ai fini del diritto di obiezione, le motivazioni per cui un cittadino si appella ad esso: siano conseguenza di un credo religioso, siano motivazioni ideali umanitarie, siano semplici persuasioni soggettive, ciò che conta è che quelle motivazioni siano coerenti con i paradigmi valoriali dellinsieme legislativo. Perciò la legge italiana, per esempio, ha riconosciuto il diritto alla obiezione di coscienza al servizio militare per i giovani che, quando esisteva la leva obbligatoria, non volevano assolvere, spinti da motivi religiosi o ideologici, quel dovere sa ncito, fra laltro, dalla Costituzione. Senza entrare nelle ragioni del pacifismo assoluto e sulla accettabilità o meno di alcune forme difensive di violenza, è certo che il valore della pace e il rifiuto della guerra come via per la risoluzione dei conflitti fanno parte del patrimonio ideale della nostra società e, per questo, è stato ragionevole riconoscere il diritto allobiezione di coscienza e la sostituzione dellobbligo militare con un tempo di servizio civile.

Il rispetto della soggettività della persona è un valore oggi generalmente riconosciuto nelle società democratiche, ma potrebbero ancora darsi e, in effetti, si danno, situazioni concrete nelle quali uno Stato non riconosce spazi adeguati per la coscienza dei cittadini e, negando il diritto allobiezione di coscienza, gli impone azioni contrarie alla sua coscienza. Una legge o un comando da parte di una autorità che vadano contro valori umani essenziali non solo non hanno forza obbligante per la coscienza, ma devono anche essere denunciati e, comunque, disattesi. A Norimberga i medici nazisti sono stati accusati di aver obbedito a leggi e ordini iniqui e di non aver ascoltato la voce della loro coscienza, obbedendo ai principi etici che dovrebbero guidare la professione medica.

Per i credenti, alle radici di questo primato della coscienza personale sta la persuasione della dignità delluomo, creato a immagine di Dio, e la volontà ferma di anteporre il bene autentico delluomo alle ragioni della politica e del potere. è meglio obbedire a Dio che agli uomini affermava lapostolo Pietro rifiutando di obbedire allingiunzione delle autorità religiose giudaiche di non predicare nel nome di Gesù (cfr. Atti 5, 29). La consapevolezza di essere chiamato a predicare il Vangelo era per Pietro più forte di qualunque ingiunzione e minaccia di punizione e lo portava a trasgredire gli ordini del Sinedrio. Lepopea cristiana è piena di luminosi esempi di uomini e donne che, in nome della coscienza, non hanno ubbidito alle leggi inique degli Stati: dai fedeli che si riunivano per celebrare il culto eucaristico nonostante i divieti delle Autorità romane, ai soldati cristiani che si rifiutavano di prestare il giuramento militare o che, come nel caso di san Maurizio e dei suoi compagni, si rifiutavano di uccidere altri cristiani, a san Tommaso Moro che, senza venir meno alla sua lealtà verso Enrico VIII, non poté condividerne le decisioni dettate dalla ragion di Stato e pagò con la vita la sua rettitudine, esempio di coerenza per i politici di ieri e di oggi. La disobbedienza civile del cristiano non è avversione verso lo Stato in quanto tale, ma rivendicazione di valori irrinunciabili che non appartengono ai soli cristiani e che sono patrimonio di tutti.

Fare obiezione di coscienza, opporsi cioè a leggi e ordini ripugnanti per la coscienza, non è solo un diritto, ma un dovere della persona, come insegna, fra laltro, lenciclica Evangelium vitae al numero 73. In quanto cittadini, dobbiamo chiedere con tutta la voce e con tutti i mezzi che questo diritto sia riconosciuto dovunque e per tutti. In un mondo segnato da una tragica cultura di morte che si incarna in molteplici strutture di male e che si avvale per affermarsi persino delle leggi degli Stati, gli uomini e le donne di buona volontà dovranno prepararsi sempre più a correre il rischio di obbedire alla propria coscienza e ad affrontare se necessario le conseguenze di una coraggiosa disobbedienza a leggi ingiuste, extrema ratio della resistenza contro le forze disumanizzanti della società e testimonianza coerente e credibile di fedeltà a Dio e alluomo.

* Professore Ordinario di Bioetica
Accademia Alfonsiana, Roma
Consigliere nazionale Associazione Scienza & Vita

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