Natuzza Evolo vista dal suo Vescovo

La vicenda della mistica calabrese è oggetto di intense e controverse discussioni

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di Włodzimierz Rędzioch

ROMA, mercoledì, 31 dicembre 2012 (ZENIT.org) – Esattamente tre anni fa, il 1 novembre 2009, è morta a l’età di 85 anni a Paravati (Vibo Valentia), suo paese natale, Natuzza Evolo, riconosciuta da tanti come una delle più grandi mistiche del XX secolo.

Analfabeta, Natuzza è stata una donna straordinaria: aveva le stimmate quaresimali, particolarmente dolorose il Venerdì Santo, quando per due ore nel suo corpo viveva la Passione di Cristo, aveva “colloqui” con il Cielo: parlava con Gesù, Maria, gli angeli custodi ma anche con le anime dei defunti.

Aveva il dono di bilocazione; ci sono migliaia di persone che affermano di essere guarite grazie alle sue preghiere. La mistica aveva anche un dono particolarissimo, forse unico al mondo: il suo corpo sudava sangue che sui vestiti o sui fazzoletti “componeva” scritte e disegni, fenomeni che intrigano ancora molti.

Per conoscere meglio la vicenda in occasione del 3° anniversario della morte della mistica di Paravati ZENIT ha intervistato mons. Luigi Renzo, vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea.

Nella Sua diocesi si trova la località Paravati, paese dove è nata e vissuta Natuzza Evolo. Che cosa significava per Lei, Eccellenza, avere tra i suoi fedeli una donna ritenuta una delle più grandi mistiche dei nostri tempi?

Mons. Renzo: Appena arrivato in diocesi 5 anni fa, sapere di avere Natuzza tra i miei fedeli mi faceva un certo effetto. Quando poi ho cominciato a frequentarla, mi è diventata familiare. Saperla tra i fedeli, soprattutto nelle celebrazioni liturgiche, mi dava un senso di serenità e di tenerezza. Sapevo che pregava ed offriva la sua sofferenza in particolare per i sacerdoti e per i giovani. Ora che non c’è più, o meglio che non è più visibile ai nostri occhi, me la sento presente, accanto, di stimolo e di incoraggiamento nel mio ministero pastorale. Continuo a sentirla viva in me.

Chi era per Lei Natuzza Evolo?

Mons. Renzo: Mi pare di aver fatto intravedere già la risposta al quesito. Di certo era e resta una donna straordinaria per la sua semplicità e schiettezza, capace di smontare ogni velleità con la sua amabilità tipicamente materna. Una donna di preghiera, di penitenza, di forte senso della Chiesa e di alta spiritualità: non a caso è nota come la “mistica di Paravati” e lo era davvero.

Quali sfide pastorali poneva la presenza di Natuzza nella diocesi?

Mons. Renzo: In un clima di serena intesa spirituale, la sfida principale e preminente era e rimane quella di garantire alla gente che arrivava a Paravati – e che oggi arriva ancora sempre più numerosa per pregare sulla sua tomba – la necessaria accoglienza e un’adeguata assistenza pastorale seguendo proprio il suo esempio. Col suo insegnamento di “mamma”  tenera e previdente continua a sollecitare in tutti una grande attenzione soprattutto ai giovani e alla famiglia, vera sfida per il futuro del mondo. Già questo sta a dire a tutti come Natuzza, con la sua presenza, con la sua parola semplice spesso sconvolgente e con la sua testimonianza concreta di anima di Dio è essa stessa una sfida ed una provocazione ai nostri comportamenti distaccati, disfattisti, caratterizzati  – come dice Benedetto XVI – da “un’apostasia silenziosa” che sfigura lo spirito dell’uomo. Nell’anno della fede appena iniziato, poi, è certamente una sana provocazione a prendere Dio sul serio.

Qual è l’eredità di Natuzza?  

Mons. Renzo: Per prima cosa è l’impegno a non lasciar morire le sfide che ha posto col suo esempio, caratterizzato da uno stile di preghiera intensamente vissuta, dall’obbedienza alla Chiesa e dalla umile accettazione della sofferenza come valore redentivo per sé e per gli altri. Questa sua eredità è oggi particolarmente assunta dai Cenacoli di Preghiera da lei voluti, in  continua crescita dovunque nel mondo, non solo in Italia. Con il loro “porsi” nella comunità e con la cura della spiritualità essi sono la risposta-proposta viva di Natuzza e, se vogliamo, una ulteriore sfida alla nostra cultura liquida, fatta di ricerca dell’effimero, del contingente. La cura della spiritualità e dell’interiorità è certamente la via migliore che lei ci ha lasciato come richiamo per uscire dall’aridità del cuore e per intraprendere un cammino di fede serio e coerente col Vangelo.

Natuzza è morta tre anni fa. Secondo le norme stabilite il processo di beatificazione può cominciare a livello diocesano cinque anni dopo la morte. In che modo la sua diocesi si sta preparando per l’inizio del processo e che cosa è stato già fatto negli anni precedenti?

Mons. Renzo: È noto che prima che trascorrano 5 anni dalla morte non si può pensare ad alcun processo di beatificazione. Se ne parlerà eventualmente dopo. Nel frattempo la diocesi e la comunità di Paravati continueranno a prestare ogni attenzione a quanto avviene e a dare le cure pastorali necessarie perché il patrimonio umano e spirituale lasciato da Natuzza non allenti la sua presa nei fedeli. Il resto si vedrà a suo tempo.

Uno dei requisiti per cominciare il processo di beatificazione è la persistente “fama di santità”. Come si manifesta tale fama nel caso di Natuzza? 

Mons. Renzo: Credo che da quanto già detto si possano trarre spunti di risposta al quesito. Di certo Natuzza con la sua vita, ben al di là delle altre fenomenologie a lei riconosciute, ha meritato e merita la “fama di santità” di cui è circondata e costituisce un autentico faro e motivo di speranza per il futuro della Chiesa intera. È la sua semplicità, assieme alla nobiltà d’animo e di cuore a costituirla esemplare maestra di vita secondo il modello della “piccola via” di Santa Teresa del Bambino Gesù.                                                                        

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ZENIT Staff

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