Il culto dei santi e delle reliquie

La festa di Ognissanti e la Commemorazione dei defunti riportano i cristiani alla consapevolezza della loro vocazione (Seconda parte)

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di Pietro Barbini

ROMA, mercoledì, 31 ottobre 2012 (ZENIT.org).- Chi sono i santi? Cos’è il culto delle reliquie? Il prof. Cosmo Tridente, appassionato studioso molfettese di culture e tradizioni, chiarisce che venerare questi corpi, frammenti di ossa, o quant’altro appartenuto in vita a queste persone, riconosciute dalla Chiesa come santi, significa venerare, non tanto ciò che materialmente vediamo, ma l’opera che Dio ha fatto con queste persone, che sono già pienamente realizzati e in perfetta comunione con Cristo; amare il culto dei santi, dunque, significa, al contempo, amare Dio. In un certo qual modo il culto dei santi non è altro che un modo per avvicinarsi a Dio. Paolo De Benedetti, in un articolo apparso sulla rivista Sefer (n. 127-luglio-settembre 2009), fa notare la fantasia che ha avuto Dio nel modo legarsi indissolubilmente al suo popolo, il popolo ebraico.

Come tutti sanno la Torà è il testo sacro per eccellenza degli ebrei, attraverso il quale Dio ha costruito un rapporto esclusivo con il popolo d’Israele. La Torà, che comprende i cinque libri del Pentateuco, ma che con tale termine si indica anche l’insieme dei 24 libri del Tanakh e tutta la tradizione orale, racchiude al suo interno quelli che vengono chiamati mitzvòt, ossia, tutti gli insegnamenti e la legge ebraica. Si tratta di 613 precetti che un ebreo è chiamato ad adempiere e a rispettare, 248 positivi e 365 negativi. Il precetto, dice Martin Cunz, è “il contenitore della gloria di Dio”, il “luogo” dove è presente Dio. Un ebreo, dunque, dovendo ricordarsi di fare e non fare determinate cose nel corso dell’intera giornata è costantemente in contatto con Dio, lo pensa continuamente perché non è solamente parte della sua vita, ma è la sua stessa vita.

Questo straordinario rapporto Dio lo ha voluto instaurare anche con i gentili, stabilendo un’alleanza per mezzo del corpo e il sangue di suo figlio Gesù Cristo, mandato a morire in Croce, per poi risorgere il terzo giorno. Attraverso il sacrificio del corpo e il sangue di Cristo, Dio, nel suo immenso amore, ha fatto all’uomo un dono immenso che prende forma concreta nella sua Chiesa, Cattolica e Apostolica; una Chiesa Madre che dona se stessa per la redenzione dei suoi figli, accompagnandoli nel corso di questa vita terrena e sostenendoli nelle difficoltà quotidiane dell’esistenza.

Come agli ebrei è stato fatto il dono della Torà, ai gentili è stato fatto il dono della Chiesa all’interno della quale i sacramenti svolgono lo stesso ruolo dei precetti ebraici. Questi sacramenti, come l’eucarestia, dove si fa viva concretamente la presenza di Cristo, la liturgia della parola, la penitenza, le molte forme di preghiera, le feste come, appunto, Ognissanti e la Commemorazione dei defunti, non a caso la prima chiamata di precetto, sono i doni che Dio, attraverso la sua Chiesa, fa ai suoi “figli” per avere quel rapporto che prima era riservato al “popolo eletto”.

Onorare i santi, come i defunti, ricorda ad ogni cristiano la promessa della vita eterna, nonché la chiamata ad essere “immagine del volto di Cristo” perché, attraverso la propria vita personale, possa essere manifesta la sua gloria. I santi e martiri cristiani, uomini e donne come noi, con pregi e difetti, ci rivelano l’accessibilità a tutti alla vita cristiana e la possibilità reale di poter gustare già in questo mondo il Paradiso.

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ZENIT Staff

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