All'ombra dei cipressi, l'amore continua

Una riflessione in vista della Commemorazione dei Defunti

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di Francesca Pica

ROMA, mercoledì, 31 ottobre 2012 (ZENIT.org) – Passeggiare all’ombra dei cipressi in una fredda giornata autunnale, portare fiori, accendere candele sulle tombe: è un rito quello del 2 novembre che ci accomuna tutti, cristiani e non. È una data che scandisce l’anno, è un momento che dedichiamo al ricordo di chi non è più con noi.

Nella nostra cultura occidentale la morte rappresenta, oggi come ieri, un vero e proprio tabù, un argomento da evitare o allontanare. Proprio nelle parti del mondo più evolute, più lontane dalla naturalezza della vita, nei paesi più avanzati  dove c’è maggiore benessere, dove la competizione rende tutto più veloce, dove si vive rincorrendo l’effimero, proprio qui, l’idea della fine, del commiato estremo, per lo più in un momento indefinito, è fonte di paure profonde, inaccettabili, a volte quasi paralizzanti. E allora perché la visita al camposanto è un’occasione che difficilmente manchiamo?

La morte è una paura ancestrale e allora perché visitiamo la casa dei defunti? Per parlare con loro: andiamo al cimitero non solo per ricordare il passato, ma anche per sottoporre proprio a loro che non ci sono più il nostro presente. Gli chiediamo consiglio e conforto per le nostre scelte di vita, soprattutto quando sono particolarmente importanti e ci troviamo nel dubbio.

Potrebbe sembrare follia, invece lo sappiamo tutti che i morti non ci lasciano un momento, sono presenti più dei vivi, sono guide che plasmano i nostri gesti anche quando non ce ne rendiamo conto. Se sei un genitore ti comporti con i figli come loro si sono comportati con te o, se ci riesci, come avresti voluto che facessero.

Sentire vicino a sé chi non c’è più non vuol dire rimanere nel dolore della scomparsa dei propri cari. Al contrario, nel ricordare le persone che ci sono state vicine e che abbiamo amato, noi ridefiniamo il legame che abbiamo avuto con loro. Creiamo una nuova relazione pur prendendo atto del commiato.

Nel “Discorso della montagna”, Gesù chiamò beati gli afflitti e coloro che sono nel lutto. Poiché chi piange sarà consolato, chi soffre troverà nuova terra sotto i suoi piedi, conoscerà una nuova stabilità e non rimarrà solo. Nel suo lutto, egli si aprirà a chi gli darà un nuovo sostegno. I nostri defunti ci ricordano chi siamo, da dove veniamo e danno un senso e una ragione al nostro presente, diventano figure interiori, luci accese sulla nostra anima, da assenza esterna si trasformano in presenza interna.

Ci rivolgiamo a loro  affinché intercedano per noi presso Dio. Li preghiamo perché solo così possiamo accettare la loro perdita, perché sappiamo che ci hanno aiutato a vivere così come è stato deciso per noi. Lo possiamo accettare perché  sappiamo che i defunti  diventano per noi un segno di benedizione. È il modo che abbiamo per non morire anche noi poco a poco, nella morte di coloro che abbiamo amato e per poter ancora abbracciare chi non c’è più, anche senza toccarlo.

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ZENIT Staff

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